Moncucco

Camminiamo una sera sul fianco di un colle, 
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù. 
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto
se salivo con lui: dalla vetta si scorge
nelle notti serene il riflesso del faro
lontano, di Torino. “Tu che abiti a Torino…”
mi ha detto “…ma hai ragione. La vita va vissuta
lontano dal paese: si profitta e si gode
e poi, quando si torna, come me a quarant’anni,
si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”.
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,
ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre
di questo stesso colle, è scabro tanto
che vent’anni di idiomi e di oceani diversi
non gliel’hanno scalfito. E cammina per l’erta
con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,
usare ai contadini un poco stanchi.
[…]

 

Il colle della poesia I mari del Sud è Moncucco, la collina del Moscato che domina Santo Stefano Belbo, dal lato opposto alla Torre. Sulla sommità, il settecentesco Santuario della Madonna della Neve, da cui il 4 agosto di ogni anno veniva dato il via all’accensione dei falò che avrebbero punteggiato tutte le colline circostanti. Il faro di cui parla Cesare Pavese, invece, è il Faro della Vittoria, che si erge sul colle della Maddalena a ricordare la vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale.

Guarda la puntata dedicata alla collina di Moncucco all’interno della nostra serie sui luoghi pavesiani, Io vengo di là:

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