Premio Pavese

Premio Pavese: la parola alla giuria/3

Aspettando il Premio Pavese 2019, abbiamo chiesto ai membri della giuria di raccontarci il nuovo corso dell’iniziativa. Qui, il punto di vista di Claudio Marazzini.

Perché il Premio Pavese? In una nazione in cui sono diversi i Premi letterari, quale può essere il valore aggiunto di un Premio dedicato al grande scrittore santostefanese? 

Prima di tutto va detto che il premio non è nato ora: ha una sua storia, e quindi ormai fa parte dei premi “consolidati”. Inoltre mi pare che l’originalità della nuova impostazione, che si avvia quest’anno, giustifichi l’esistenza di questo premio,  diverso da tutti quelli che esistono.

Dopo 35 anni il Premio Pavese riparte da un anno zero. Perché è giusto rinnovare e in quale direzione il Premio vuole andare? 

L’idea è stata questa: trovare settori in cui il premio potesse mostrare la propria specificità. Traduzione ed editoria rappresentano la punta di diamante di questa scelta. La saggistica merita anche di essere considerata. Ma non è detto che in futuro non si torni alla narrativa, cioè al tema principale di tanti premi, un campo nel quale anche il nostro premio potrà dire qualche cosa di nuovo.

Il Premio Pavese inaugura una sezione dedicata alla saggistica, toccando uno dei tanti aspetti della vita professionale dello scrittore. Perché questa scelta? 

Per non dimenticare anche quest’aspetto della sfaccettata esperienza culturale di Pavese, che è stato un grande scrittore, un grande dirigente editoriale, un magnifico traduttore, ma anche un bravo saggista.

Pavese, oltre ad essere stato un grande narratore, è anche stato un linguista, uno storico della lingua, uno studioso che ha cercato, sull’esempio dello slang americano imparato sui testi dei romanzieri d’oltreoceano, di rinnovare la lingua italiana creando uno strumento narrativo che fosse nazionalmente riconosciuta ma che avesse al suo interno il sangue della provincia, la potenza semantica di un dialetto. Quale era l’italiano di Pavese e che impatto ha avuto sulla letteratura italiana?

Qui il discorso si farebbe lungo, e dovrebbe ricorrere ad analisi puntuali. Certamente si trovano dichiarazioni e riflessioni teoriche sulla lingua e sul dialetto, per esempio nel Diario. Ci possono guidare a una lettura più consapevole delle opere dello scrittore. E poi non c’è solo lo slang: c’è l’influsso di un italiano regionale e popolare, totalmente italiano, ma legato anche alla piccola patria, al Piemonte, alle Langhe. C’è insomma la storia dell’italiano nel Novecento, nel suo rinnovamento sostanziale.

Esiste un “petaloso” pavesiano?

Credo di no, per fortuna. Più che i neologismi, sono interessanti le espressioni che hanno doppia valenza, popolare/dialettale e letteraria al tempo stesso. Ci sono tra le carte dell’archivio Pavese (Fondo Gozzano -Pavese, presso l’Università di Torino) documenti che testimoniano la sua ricerca della lingua, lo spoglio di autori, anche toscani. Si tratta di un percorso appassionante, spesso imprevedibile e sorprendente.

Il Premio Pavese conclude la settimana di iniziative per le celebrazioni della lingua italiana nel mondo. Come sta oggi la nostra lingua e cosa possiamo fare per tutelare e difendere questo straordinario patrimonio culturale?

Tra le cose che utili che possiamo fare, sicuramente c’è la lettura dei nostri migliori autori del Novecento: e Pavese lì ha il suo posto di rilievo.

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