I premiati
Franca Cavagnoli (traduzione), Laura Pariani (narrativa), Paolo Repetti (editoria), Giovanna Rosadini (poesia) e Rosemary Salomone (saggistica): ecco i vincitori del Premio Pavese 2023.
Franca Cavagnoli
Sezione traduzione
Franca Cavagnoli, a cui la giuria ha scelto di conferire il premio 2023 per la traduzione, incarna in maniera esemplare lo spirito stesso del premio, che ha in Cesare Pavese il suo punto di riferimento ideale. Parliamo, ancora una volta, di una delle persone che più hanno lasciato, e lasciano, il segno, nella letteratura tradotta di lingua inglese. Che più coltivano, insegnano, promuovono e praticano, la traduzione in tutte le sue sfaccettature: come strumento, come arte, come interpretazione, come critica, come sfida conoscitiva.
Franca Cavagnoli traduce dalla fine degli anni ‘80, su incoraggiamento, come ha raccontato lei stessa, dal suo maestro Giuseppe Pontiggia. Ha tradotto autori come Nadine Gordimer, J. M. Coetzee, V. S. Naipaul, Toni Morrison, Katherine Mainsfield, William Barroughs, George Orwell, Robert Stevenson, Mark Twain, David Malouf e Jamaica Kincaid. La sua ultima fatica è Il diamante grande come il Ritz e altri racconti di Scott Fitzgerald uscita quest’anno da Feltrinelli.
Di traduzione, Franca Cavagnoli si occupa anche come insegnante, saggista, critica letteraria e curatrice editoriale. Decine e decine sono i suoi contributi su riviste, giornali, siti. Da molti anni insegna al Master di Editoria dell’Università degli Studi di Milano, e tiene corsi e seminari in varie altre sedi. Il suo libro La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre (Feltrinelli 2012 e 2019) è una lettura imprescindibile per chiunque si avvicini al mondo della traduzione.
In ultimo, ma bisognerebbe dire innanzitutto, Franca Cavagnoli affianca da sempre all’attività di traduttrice quella di scrittrice. Il suo sesto romanzo, Nel rumore del fiume, è uscito quest’anno presso l’editore Polidoro. Le sue due anime, com’è naturale, si influenzano reciprocamente: la traduttrice “allena” la scrittrice, e la scrittrice controlla la voce della traduttrice, per non permetterle di deviare dai suoi severissimi criteri qualitativi. (Franca Cavagnoli ammette, con un sorriso, di essere vittima di un perfezionismo che sfiora il disturbo ossessivo-compulsivo.)
Conoscenza approfondita del contesto storico-culturale, speciale attenzione alla lettera del testo, e ospitalità nei confronti dello “straniero” in contrapposizione a etnocentrismo, sono alcune delle linee guida – interdipendenti – che Franca Cavagnoli usa più spesso nel descrivere il lavoro di traduzione, e che i lettori trovano coerentemente rappresentate nelle sue traduzioni. Essenziale, in particolare, è il concetto di “accoglienza” dell’altro, dell’”alieno”, e non è un caso che molti degli autori a cui Franca Cavagnoli ha dato voce siano esponenti della letteratura postcoloniale di lingua inglese. Ogni volta che traducendo noi “addomestichiamo” un testo straniero, annullando le differenze e portandolo sul terreno del già noto – dice Cavagnoli – facciamo un torto non solo all’autore o autrice di quel testo, ma alla nostra immaginazione e alla nostra lingua, che imprigioniamo nell’ovvio e nel familiare. Molto più difficile, invece, è farsi voce dell’altro lasciando che sia altro. Uno sforzo di comprensione da un lato, e di sensibilità letteraria, poetica, dall’altro, che Franca Cavagnoli interpreta in maniera magistrale.
A Franca Cavagnoli, quindi, in tutti i sensi maestra di scrittura, siamo lieti di conferire il Premio Pavese 2023 per la traduzione.
Franca Cavagnoli ha pubblicato i romanzi Nel rumore del fiume (2023), Una pioggia bruciante (2000; 2015), Luminusa (2015), Non si è seri a 17 anni (2007), il saggio La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre (2012; Premio Lo straniero 2013) e i racconti Mbaqanga (2013) e Black (2014). Nel 2022 ha pubblicato per Orecchio Acerbo il suo primo libro per l’infanzia, La Bocca dell’Adda (finalista Premio Andersen 2023). Ha tradotto e curato, tra gli altri, opere di William S. Burroughs, J.M. Coetzee, Nadine Gordimer, James Joyce, Jamaica Kincaid, Katherine Mansfield, Toni Morrison, V.S. Naipaul, George Orwell, R.L. Stevenson e Mark Twain. Cura per Adelphi l’edizione italiana dell’epistolario di Samuel Beckett. Per la sua nuova traduzione di Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald nel 2011 ha avuto il premio Von Rezzori. Nel 2014 ha ricevuto il Premio nazionale per la traduzione del Ministero dei Beni Culturali. Insegna Traduzione e Revisione del testo editoriale al Master in Editoria dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Mondadori e l’Associazione Italiana Editori. Collabora a “il manifesto”, “Alias” e “L’indice dei libri del mese”
Laura Pariani
Sezione narrativa
Scrittrice battagliera e risoluta, Laura Pariani ha dato vita a personaggi periferici e sconfitti dalla storia che inseguono eroicamente un ideale utopico di libertà e giustizia pur sapendo di non poter contare sull’aiuto di nessuno, solitari che affrontano il mondo come i personaggi delle fiabe, armati solo del loro coraggio e fiduciosi che le regole apparentemente ineluttabili e immodificabili della società in cui vivono possano essere scalfite con la forza dell’ardimento e dell’incanto.
Che siano personaggi fantastici i cui nomi-non nomi rappresentano tutti noi (dalla Bambina di Domani è un altro giorno, disse Rossella O’Hara a Pùlvara del Gioco di Sante Oca) o persone reali (come Dino Campana protagonista di Questo viaggio chiamavamo amore) gli eroi dei suoi romanzi sono spesso (non)eroi senza patria e senza destino, che si muovono in un mondo sconvolto che risuona di riferimenti letterari: la selva dantesca è rivisitata ne La Signora dei porci (1999) e in Milano è una selva oscura (2010), il mondo senza idillio di Manzoni torna nelle ambientazioni lombarde de Il gioco di Sante Oca, la narrazione costitutiva dell’Occidente cristiano (la passione di Cristo) fonda il romanzo distopico Di ferro e di acciaio.
Realtà e finzione, narrazione proverbiale e sentenziosa, resoconti di viaggio e saghe dal sapore cavalleresco, scenari onirici e forme tipiche del romanzo storico sono tutt’uno in una pagina intarsiata a partire da termini arcaici e voci plasmate sul dialetto, da cui emerge una lingua maccheronica, farsesca e sdegnata, truce e innocente che si contrappone a quella elitaria, algida e normativa del potere. Lontanissima dai linguaggi di plastica della comunicazione, da quelli sentimentali da trivial literature, e soprattutto da quelli di una narrazione facile, da storytelling seriale, la lingua di Laura Pariani insegue un ideale di giustizia che passa per il valore persuasivo della parola («se sai contare con la lingua sciolta, non sarai mai completamente perduto») nella convinzione che le storie hanno il potere di aprire la porta dei sogni (una porta di corno e d’oro, come recitava il titolo del suo primo libro). Dialetto, lingua curiale e giuridica, germanismi, ispanismi, francesismi, espressioni tratte dalla lingua d’oggi, non servono solo a creare un pastiche linguistico di grande efficacia e raffinatezza, ma anche a mettere le storie al servizio di una riflessione morale sul presente. Un po’ Giovanna d’Arco, un po’ strìa della tradizione folklorica del nord Italia (ma siamo in Langa: e allora il richiamo va subito alle masche che popolavano i racconti delle nostre nonne), un po’ bambina dallo spirito picaresco, Laura Pariani ha dato vita nel recente Apriti, mare! a un medioevo prossimo venturo in cui il mondo sarà tornato «com’era all’inizio, con gli esseri umani che vivevano sulla nuda terra come animali»: un mondo quasi completamente femminile e fiabesco che la giuria del premio Pavese vuole omaggiare anche nella linea che, lungo molti passaggi, la riconduce a certe voci femminili e adolescenziali messe in scena dallo scrittore di Santo Stefano Belbo .
Laura Pariani (Busto Arsizio, 1951) si è laureata all’Università degli Studi di Milano in Filosofia della Storia. Si è dedicata dagli anni ’70 alla pittura, al teatro di figura e al fumetto: Perché non i fiori, Celuc 1975; La fata rovesciata, Ottaviano 1976.
Dagli anni ’90 si dedica soprattutto alla narrativa: Di corno o d’oro (Sellerio 1993; premio Grinzane Cavour; premio Chiara; premio Città di Roma opera prima), Il Pettine (Sellerio 1995; premio Chianti), La spada e la luna (Sellerio 1995; premio Dessì; premio ElsaMorante), La perfezione degli elastici (e del cinema) (Rizzoli 1997; premio Selezione Campiello; premio Catanzaro ), La Signora dei porci (Rizzoli 1999; premio Grinzane Cavour), Il paese delle vocali (Casagrande 2000), La foto di Orta (Rizzoli 2001; Interlinea 2017; premio Vittorini), Quando Dio ballava il tango (Rizzoli 2002; premio Alassio; premio Gandovere; premio Donna-Città di Alghero), L’uovo di Gertrudina (Rizzoli 2003; premio Selezione Campiello; Premio Chiara), La straduzione (Rizzoli 2004; premio Comisso), Il Paese dei sogni perduti (Effigie 2004), Tango per una rosa (Casagrande 2005), Patagonia Blues (Effigie 2006), I pesci nel letto (Alet 2006), Ghiacciofuoco (con Nicola Lecca, Marsilio 2006; premio Offida), Dio non ama i bambini (Einaudi 2007; premio Regium Julii; premio Anna Maria Ortese), Milano è una selva oscura (Einaudi 2010; premio Selezione Campiello; premio Basilicata), La valle delle donne lupo (Einaudi 2011; premio Bottari Lattes Grinzane), Le montagne di don Patagonia (Interlinea 2012), Il piatto dell’angelo (Giunti 2013; premio Carlo Levi); Nostra Signora degli scorpioni (insieme a Nicola Fantini, Sellerio 2014; premio Onor d’Agobbio), Il nascimento di Tònine Jesus (Interlinea 2014), Questo viaggio chiamavamo amore (Einaudi 2015; premio Bergamo), Per me si va nella grotta oscura (Didattica attiva 2016), Che Guevara aveva un gallo (insieme a Nicola Fantini, Sellerio 2016), “Domani è un altro giorno” disse Rossella O’Hara (Einaudi 2017; premio speciale Università di Camerino), Caddi e rimase la mia carne sola (Effigie 2017), La macchina-tigre (insieme a Nicola Fantini, Pelledoca 2018), Di ferro e d’acciaio (NNE 2018; premio Mondello), Il lago dove nacque Zarathustra (insieme a Nicola Fantini, Interlinea 2018), Il gioco di Santa Oca (La Nave di Teseo 2019; premio Selezione Campiello), Arrivederci, signor Čajkovskij (insieme a Nicola Fantini, Sellerio 2019), Apriti, mare! (La Nave di Teseo 2021).
Ha all’attivo una ventina di opere teatrali rappresentate in Italia e all’estero. Ha partecipato alla sceneggiatura di Così ridevano (Leone d’oro al Festival di Venezia, 1998).
Paolo Repetti
Sezione editoria
La parola “imprint” è entrata ormai a far parte stabile dell’italiano o per meglio dire del gergo editoriale italiano. Indica un settore o un tentacolo di una casa editrice che gode di una sua propria autonomia ideativa e realizzativa, ma non gestionale e finanziaria. In pratica una grande casa editrice, spesso un po’ sfibrata, riconosce a un suo valoroso, e in genere anziano editor, – un veterano, un grognard come quelli di Napoleone – il diritto e l’onore di costituire una propria lista, abbellita spesso dal suo nome medesimo, secondo la formula “I libri di Pinco Pallino, pubblicati dalla Tizio e Caio”.
Ma siccome noi italiani, e in ispecie noi editoriali italiani, difettiamo certo di un mercato alla pari dei nostri colleghi europei, ma eccelliamo invece nell’inventiva, abbiamo inventato grazie a Paolo Repetti, che ne è stato il creatore, un modello di imprint completamente nuovo. Einaudi Stile libero è a tutti gli effetti una casa editrice completamente autonoma, ma accucciata sotto l’ala protettrice e prestigiosa del marchio Einaudi, garanzia di nobiltà e di correttezza politica. La quale Einaudi tanto libera non doveva prima essere se c’è stato bisogno di precisare, con la felicissima metafora natatoria “stile libero”, il carattere esplorativo, energico per non dire avventuroso della nuova iniziativa. Che a questo punto è persino riduttivo chiamare imprint.
Con il suo febbrile attivismo Paolo Repetti, discolo e scanzonato, spudorato nel suo perseguire il successo, e di successi ne ha avuti infiniti, i più disparati, Paolo Repetti dicevamo è riuscito a raggiungere il vero obiettivo di ogni attività editoriale. Che è quello di interpretare i tempi, lo spirito dei tempi. Ha dato voce e vita a una sinistra non didattica e non moralista, ma pur sempre e solidamente sinistra. Una sinistra scapigliata e soprattutto allegra. Tutto questo non sarebbe forse stato possibile se non avesse avuto a fianco, in un sodalizio fraterno, quell’impareggiabile impastatore di libri che è stato Severino Cesari, scomparso purtroppo ormai da sei anni.
E per concludere anche noi con una metafora, i cannibali di Repetti- per citare il suo titolo inaugurale, una sorta di manifesto – si sono divorati, felicemente pappati, le professoresse democratiche.
Paolo Repetti è nato a Roma nel 1956. Si è occupato di psichiatria e psicoanalisi prima di dedicarsi all’editoria, dal 1985 con la casa editrice Theoria e dal 1995 con la fondazione, con Severino Cesari, della collana Stile libero di Einaudi, che tuttora dirige. Ha pubblicato il romanzo Lamento del giovane ipocondriaco. E un secondo, Esercizi di sepoltura di una madre, entrambi per Mondadori.
Ph. Dino Ignani
Giovanna Rosadini
Sezione poesia
La poesia di Giovanna Rosadini si distingue per una sobrietà di meditazione, spesso biblica, che avvicina il suo sentire a quello di Primo Levi, ma anche all’ultimo Montale: «Cherubini senza più ali custodiscono / paradossi». La coscienza della tradizione ebraica ispira un acuto senso di responsabilità della parola, e di fragilità della presenza umana: «Relitti abbandonati alla risacca, fossili spuntati dall’abisso / stiamo su questa spiaggia come per l’eternità» (Figura). Dalla sua poesia emana – quasi un «ostinato continuo» – un senso di inappartenza, che non è esilio né dimora, ma illimitata inconoscenza: «e arrivano solo, nel luogo imprecisato / dove siamo, / suoni decomposti, scoloriti odori».
C’è infine da sottolineare, secondo una linea profonda della poesia italiana da Leopardi in poi, – e cito qui l’autrice – la «soggezione rispetto a forze che ci trascendono»: «Siamo tutto questo, l’eco estinta / di un sacrificio, […] /. Sacerdoti di un rito / incruento, portiamo sulle spalle nomi / consumati dall’uso ».
In questo assumere il peso di una tradizione, la poesia di Giovanna Rosadini è testimone della dignità dell’essere umano, della sua incespicante solidarietà: «Mani aperte ricolmano / il vuoto, il riposo, il pensiero grato / per chi non è fuggito», riservando alla donna un ruolo e una voce trepida di dolorosa oblazione che risale – come un perenne battito – alla Genesi: «Io sono qui, sono l’impronta – / il calco conservato per la pioggia che lo disfa, / la costola scempiata ritornata dentro il fango».
Per tale vigile consapevolezza, che non cede al lirismo e neppure indulge al tragico – «nessuna scusa / al rimpianto» -, per questo severo scrutinio di sé: «[…] io / conto i giorni, e ripasso me stessa a memoria», la poesia di Giovanna Rosadini merita il riconoscimento del Premio Pavese Poesia 2023, per la forza della sua parola di Esodo: «nella presa / tenace di tutta questa sabbia tenuta a mente» (Paradigmi di santità).
Nata a Genova nel 1963, Giovanna Rosadini si è laureata in Lingue e Letterature Orientali all’Università di Ca’ Foscari, a Venezia. Ha lavorato per la casa editrice Einaudi, come redattrice ed editor di poesia, fino al 2004, anno in cui è uscito, per lo stesso editore, Clinica dell’abbandono di Alda Merini, da lei curato. Ha pubblicato la raccolta Il sistema limbico per le Edizioni di Atelier nel 2008, e altri testi poetici in riviste e antologie collettive. Nel 2010 è uscito Unità di risveglio, per la Collezione di Poesia Einaudi. Per lo stesso editore ha curato l’antologia Nuovi poeti italiani 6, del 2012. La sua terza raccolta poetica, il numero completo dei giorni, è stata pubblicata da Nino Aragno editore nel 2014. A maggio 2018 la pubblicazione di una nuova raccolta, Fioriture capovolte, ancora per Einaudi editore, Premio Camaiore, cui ha fatto seguito, nel luglio 2019, l’autoantologia con inediti Frammenti di felicità terrena, edita nella collana “Gialla oro” di LietoColle /Pordenonelegge, Premio Merini. A giugno 2021, per i tipi di Interno Poesia, la silloge in lasse prosastiche Un altro tempo. Vive e lavora a Milano.
Rosemary Salomone
Sezione saggistica
Quest’anno, diversamente dal passato, nella sezione Saggistica viene premiato un libro in inglese e che parla della lingua inglese, scritto da un’autrice americana.
Il libro che qui premiamo, The Rise of English di Rosemary Salomone, ci racconta che cosa è successo alla lingua inglese dopo il grande mutamento che ci fa rimpiangere i tempi di Pavese, quando non esisteva ancora l‘English Divide di cui ci descrive gli effetti. La Salomone mostra in questo poderoso e documentato volume di oltre 400 pagine in quali forme si sia sviluppata e si eserciti la dittatura dell’inglese nel mondo di oggi, e come lo scontro con le altre lingue si traduca in uno scontro di potere, con danno permanente, e ciò non tanto per un’imposizione esterna, ma per le scelte della classe dirigente locale, per la rinuncia volontaria al proprio idioma nazionale, anche là dove svolge perfettamente la sua funzione. Nel caso dell’Italia, il libro descrive la battaglia avviata per l’eliminazione della lingua italiana nell’università, una vicenda che si è trascinata dal 2012 al 2018 di fronte a TAR, Corte costituzionale e Consiglio di Stato. Si tratta di una questione fondamentale per il destino dell’italiano come lingua di cultura, che ha attirato l’attenzione anche al di fuori dei nostri confini. Le vicende italiane vengono messe a confronto con quelle di altre nazioni europee in cui si sono manifestate tensioni analoghe, ed emergono così alcune interessanti differenze: per esempio, il fatto che in Francia la battaglia sia stata condotta in Parlamento, mediante provvedimenti legislativi, le celebri leggi Toubon e Fioraso, mentre in Italia il Parlamento è stato assolutamente assente, i governi si sono defilati il più possibile senza assumere posizioni chiare (comunque senza mai difendere l’italiano), e la questione si è svolta tutta di fronte alla magistratura, fino al massimo livello della Corte costituzionale. Aggiungiamo che la questione non si è chiusa, ma è ancora ben attuale.
Abbiamo detto che il quadro internazionale è uno dei punti di forza di questo magnifico libro, per la sua visione globale: non solo l’Europa, ma anche l’Africa e l’Asia, nel capitolo Shadows of Colonialism, dove si descrive il progressivo cedimento del francese, ex grande lingua internazionale, via via rimpiazzata dall’inglese in molte parti del mondo, mentre entrano in gioco anche i Centri Confucio, che diffondono il cinese.
Questo libro non è stato scritto da italiani o francesi intenti a lamentarsi della propria decadenza, o intenzionati a difendere la propria lingua. Sappiamo bene che anche l’Accademia della Crusca, insieme a intellettuali come Claudio Magris e Tullio Gregory (di quest’ultimo si parla alle pp. 92-95 del libro della Salomone), non si è sottratta alle polemiche durante il processo di emarginazione dell’italiano messo in atto negli atenei e tutt’ora in corso. In questo caso, però, la ricognizione, equilibrata e attenta a tutti gli aspetti della questione, ai molti riflessi sociali della politica linguistica, è stata condotta da una giurista statunitense, una studiosa che appartiene alla nazione la quale detiene in questo momento il primato linguistico. Per di più, il libro è stato stampato in America da Oxford University Press, uno dei più prestigiosi marchi editoriali del mondo anglosassone, il medesimo che pubblica l’Oxford English Dictionary, il vocabolario che rappresenta agli occhi del mondo la lingua inglese, in una nazione in cui non esistono accademie paragonabili a quelle del mondo romanzo, come l’Accademia della Crusca in Italia, l’Académie française in Francia, la Real Academia Española in Spagna. Anche per questo, oltre che per la sua visione globale e mondiale, il libro si presenta come imprescindibile testo di riferimento.
Dalle pagine della Salomone dedicate all’italiano apprendiamo dati che ci addolorano: per esempio, scopriamo che tra tutte le popolazioni degli stati europei, gli italiani sono quelli che si collocano all’ultimo posto nell’attribuire importanza alla propria lingua al fine di essere veri cittadini della loro nazione (p. 89). Già sapevamo da una inchiesta dell’OCSE del 2013 che gli italiani sono all’ultimo posto nel mondo sviluppato per la capacità di comprendere un testo nella loro lingua, cioè sono inadeguati per quell’abilità che in inglese si denomina literacy. In questo modo si capisce meglio come mai in Italia si sia così spesso pronti a mettere da disinvoltamente da parte la propria lingua, e non perché qualcuno dall’estero ci abbia chiesto di farlo. Anzi, gli stranieri ci insegnano semmai il contrario. Infatti il magnifico e ricchissimo libro di Rosemary Salomone, anche per le pagine finali che sembrano aprire spazi di speranza per nuove prospettive di plurilinguismo, è una formidabile occasione per far riflettere coloro che sottovalutano la difesa della varietà delle lingue, nel mondo e in Europa.
Rosemary Salomone è Kenneth Wang Professor of Law alla St. John’s University School of Law (USA) dove insegna Diritto Costituzionale, Diritto Amministrativo, Comparative Equality and Anti-Discrimination Law; e Infanzia e Diritto. In passato è stata Associate Academic Dean e direttrice del Center for Law and Public Policy. Prima di insegnare alla St. John’s, è stata Professore Associato alla Harvard University’s Graduate School of Education e lettrice all’Harvard’s Institute for Educational Management.
Ha ottenuto borse di studio alla Columbia University School of Law e alla Soros Foundation’s Open Society Institute,
e assegni di ricerca dalla National Science Foundation, dallo U.S. Department of Education, dalla Spencer Foundation, e dall’Harvard University. Per dieci anni è stata membro del consiglio direttivo della State University of New York ed p membro eletto dell’American Law Institute e membro dell’American Bar Foundation.
È autrice dei libri Rise of English: Global Politics and the Power of Language (Oxford University Press); True American: Language, Identity, and the Education of Immigrant Children (Harvard University Press); Same, Different, Equal (Yale University Press) (selezionato come “Outstanding Academic Title for 2005” da Choice Magazine); Visions of Schooling (Yale University Press); e Equal Education Under Law (St. Martin’s Press).
La professoressa Salomone è laureata alla Columbia University (Ph.D., LL.M., M.Phil.), alla Brooklyn Law School (J.D.), all’Hunter College (M.A.), e al Brooklyn College (B.A.).