I premiati

Eraldo Affinati, Renata Colorni, Anna Nadotti, Elton Prifti e Wolfgang Schweickard: ecco i premiati del Premio Pavese 2020.

Eraldo Affinati - Premio Pavese 2020

Eraldo Affinati

Sezione narrativa

Scrittore e insegnante, è nato nel 1956 a Roma dove vive e lavora. Insieme alla moglie, Anna Luce Lenzi, ha fondato la “Penny Wirton”, una scuola gratuita di italiano per immigrati, uno a uno, senza classi e senza voti, che conta oggi cinquanta nuclei didattici nel territorio nazionale. Ha pubblicato una ventina di libri, quasi tutti presso Mondadori, fra cui ricordiamo Veglia d’armi (1992), Bandiera bianca (1995), (Campo del sangue, 1997, finalista Premio Strega e Campiello); Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002); Secoli di gioventù (2004), La Città dei Ragazzi (2008); Berlin (2009), Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia (2010); Elogio del ripetente (2013); Vita di vita (2014); L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani (2016, finalista Premio Strega); Tutti i nomi del mondo (2018), Via dalla pazza classe. Educare per vivere (2019). Ha pubblicato due libri rivolti ai più piccoli: L’11 settembre di Eddy il ribelle (Gallucci, 2011) e Il sogno di un’altra scuola. Don Lorenzo Milani raccontato ai ragazzi (Piemme, 2018). A quattro mani con la moglie ha scritto Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton (Erickson, 2019). Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano (I Meridiani, Mondadori 2003). Le sue ultime pubblicazioni, uscite quest’anno, sono Meccanismi dell’odio, un dialogo sul razzismo e i modi per combatterlo, composto con Marco Gatto (Mondadori) e il racconto finale per Gec dell’avventura di Silvio D’Arzo (a cura di Alberto Sebastiani, Einaudi).

Da Campo del sangue (1997) al recentissimo I meccanismi dell’odio (2020), Eraldo Affinati ha unito nella sua pagina narrazione e saggio, memoria storica e impegno nel presente, sguardo ai padri e spinta etica, armonizzando la lingua altissima della nostra tradizione a quella estesa e polifonica dei nuovi italiani. Il viaggio, l’urgenza di “andare a vedere” cose, luoghi, persone, è una delle strutture portanti dei suoi libri che, rifiutando il facile estetismo, la retorica del margine, lo sperimentalismo fine a se stesso, ci consegnano un progetto letterario e civile capace (come segnalato dall’uso ricorrente della seconda persona singolare) di coinvolgere tutti nel segno della responsabilità. Il valore assegnato all’esperienza individuale, con le sue incertezze e i suoi punti di cedimento, fa di Eraldo Affinati uno degli scrittori più acuti e interessanti degli ultimi trent’anni: il suo elogio dell’imperfezione e della fragilità, il suo guardare alla letteratura dal punto di vista dell’escluso e del perdente ci richiama al valore della vita nelle sue molteplici forme.

Renata Colorni - Premio Pavese 2020

Renata Colorni

Sezione editoria

Nata a Milano nel 1939, figlia di Ursula Hirschmann, ebrea e socialista berlinese, fuggita dalla Germania nel 1933 da cui impara il tedesco, e del filosofo Eugenio Colorni, ucciso dai fascisti nel 1944, uno degli ideatori e firmatari del Manifesto di Ventotene. Ha come guida intellettuale Altiero Spinelli, che diviene secondo marito della madre. Laureata all’Università di Pavia, inizia nel 1969 a lavorare per la FrancoAngeli. Nel 1973 è chiamata da Paolo Boringhieri a curare l’edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, di cui traduce in prima persona un cospicuo numero di scritti. Dal 1979 al 1995 lavora alla Adelphi per cui, oltre a rivedere tutte le traduzioni dal tedesco, traduce in proprio autori quali Elias Canetti, Thomas Bernhard, Franz Werfel, Arthur Schnitzler, Friedrich Dürrenmatt, Joseph Roth. Dal 1995 fino allo scorso mese di giugno ha lavorato in Mondadori dirigendo continuativamente la collana di classici italiani e stranieri I Meridiani e occupandosi anche, per un certo numero di anni a cavallo del 2000, di narrativa italiana. Nel 2010 è uscita per I Meridiani Mondadori, con il titolo La montagna magica, la sua nuova traduzione del romanzo di Thomas Mann, Der ZauberbergTra i numerosi riconoscimenti ottenuti, ricordiamo il Premio Goethe nel 1987, il Premio Monselice nel 1991, il Premio Grinzane Cavour nel 1995, il Premio Feltrinelli nel 2007.

Nella vita, adulta s’intende, di Cesare Pavese è indubbio che l’attività editoriale, il lavoro editoriale, abbiano occupato la parte preponderante. Pavese la più parte del suo tempo l’ha dedicata all’editoria, tutti o quasi i suoi contatti con il mondo intellettuale e culturale, italiano e non solo, sono stati occasionati e mediati dall’editoria, soprattutto di editoria è materialmente campato. Pavese, tuttavia, non era un editore, almeno nel senso che viene il più delle volte attribuito a questo termine di sua natura ambiguo, e cioè quello di proprietario di una casa editrice. Era viceversa e a pieno titolo un editore nel senso dell’architetto di un edificio librario, di chi disegna un percorso che si allunga attraverso gli anni e lo porta a compimento, non disdegnando di ricoprire, non di rado, anche il modesto ma concreto ruolo del muratore.

È stato proprio pensando al profilo editoriale di Cesare Pavese che abbiamo quest’anno deciso di assegnare il premio per l’editoria a una personalità che avesse questa sua stessa caratteristica, quella cioè di aver lasciato un’impronta profonda nella storia editoriale italiana senza essere mai stato editore nella più comune accezione del termine.

Renata Colorni, orfana in tenerissima età di Eugenio, medaglia d’oro della Resistenza, assistente di Storia della filosofia medievale presso l’Università statale di Milano, dopo aver esordito presso la Casa editrice Franco Angeli, si presenta alla ribalta dell’editoria italiana quando sbarca alla Boringhieri di Torino. Qui, affiancata dallo stesso Paolo Boringhieri e sotto la tutela di Cesare Musatti, porta a termine una delle maggiori e più innovative imprese della cultura italiana del dopoguerra, cioè l’edizione delle opere complete di Sigmund Freud, in gran parte da lei impeccabilmente tradotte e tutte da lei revisionate. Passata poi alla Adelphi, dove cura le opere originalmente in lingua tedesca, si avvicina e si impratichisce di editoria letteraria, continuando e affinando la propria arte di traduttrice. Ma certo la sua stagione editorialmente più feconda e significativa è quella presso Mondadori, dove giunge all’inizio degli anni Novanta. Qui dirigerà per quasi un trentennio la sezione Classici che comprende, accanto alla colonna portante dei Meridiani i classici greci e latini pubblicati in collaborazione con la Fondazione Valla e le collane di poesia. Per un certo tratto sarà anche responsabile della narrativa letteraria italiana e straniera. In questa veste guadagnerà alla casa editrice voci prestigiose come Ingo Schulze, Edoardo Albinati e più di ogni altro Fosco Maraini.

È tuttavia soprattutto il lungo, instancabile lavoro condotto sui Meridiani a procurare a Renata Colorni il riconoscimento che oggi le tributiamo. Renata è riuscita a trasformare una collana estemporanea, di fisionomia imprecisa, in un vero e proprio pantheon letterario, lontano da ogni accademismo, ubbidendo anzi all’idea che i classici sono tali grazie alla loro incisività pop alla loro forza interiore. È impossibile descrivere qui l’impressionante potenza di fuoco dei Meridiani, ma basta scorrere il catalogo per farsene un’ idea. Ci limiteremo solo a due menzioni. La prima riguarda la poesia. I Meridiani di Renata Colorni hanno da un lato coperto tutta la tradizione poetica europea, dai tre volumi dei Poeti della scuola siciliana, a Petrarca, a Hölderlin, a Shelley, fino a Valéry e Paul Celan. Dall’altro, fatto ancor più stupefacente, hanno escogitato la forma editoriale in grado di rendere la poesia un business profittevole: la raccolta completa di un’opera poetica è in grado di suscitare un vasto e corposo interesse presso il pubblico. La seconda menzione riguarda invece le opere complete di autori contemporanei, da D’Annunzio a Montale a Pasolini, un’impresa, proprio a causa della contemporaneità, particolarmente ardua e difficile. In questa categoria rientra anche il monumentale lavoro di ri-traduzione, compiuto in larga parte da Renata Colorni in persona, delle opere di Thomas Mann. E proprio nel nome di Mann vorrei chiudere questa motivazione, prendendo in prestito il titolo di una delle sue più celebri raccolte di saggi letterari per porlo non solo come sintesi ma come emblema e sigillo della lunga fatica di Renata Colorni. Il titolo è Nobiltà dello spirit

Anna Nadotti - Premio Pavese 2020

Anna Nadotti

Sezione traduzione

Lettrice per passione e per professione, traduttrice, editor, e consulente Einaudi per le letterature anglofone. Ha curato, tra altre, la traduzione delle opere di AS Byatt (a quattro mani con Fausto Galuzzi), di Anita Desai, di Amitav Ghosh, di Hisham Matar, di Rachel Cusk, di Tash Aw; la traduzione di Carne, di Ruth Ozeki, e di Romanzieri ingenui e sentimentali di Orhan Pamuk. Per Einaudi ha curato una nuova traduzione della Signora Dalloway e di Gita al Faro, di Virginia Woolf. Sta ora traducendo The Shadow King, di Maaza Mengiste, shortlisted per il Booker Prize 2020. Scrive per varie testate. Collabora con la Scuola Holden di Torino. Ha ricevuto il Premio AVA per la Cultura, Venezia 2013.

Credit: Foto Laura Accerboni, Book Pride 2019, Genova.

Anna Nadotti traduce da più di 30 anni: lunghissimo, quindi, è l’elenco degli autori di cui è la voce italiana. Ha legato strettamente il suo nome, in particolare, ad alcuni scrittori di cui ha tradotto tutta l’opera, specie per gli editori Einaudi e Neri Pozza: all’indiano Amitav Gosh; all’inglese Antonia Byatt, autrice del celebre Possessione; alla grande scrittrice indiana Anita Desai; all’anglo-libico Hisham Matar, l’autore de Il Ritorno; alla canadese Rachel Cusk, di cui è in uscita da Einaudi l’ultimo libro. Last but not least, a Virginia Woolf, di cui ha ritradotto Mrs Dalloway e Gita al faro

Ma il Premio Pavese per la traduzione non è un semplice premio alla carriera, e non omaggia la semplice quantità di energie spese, bensì la qualità dei risultati raggiunti nel proporsi come modello sia di arte, sia di mestiere. Mestiere nel senso pavesiano di lavoro ben fatto, raggiunto con fatica, come unico mezzo per fare arte, letteratura, poesia. Anna Nadotti questa qualità, la rappresenta pienamente. Dalla sua penna, o tastiera, esce una lingua “soave”. Impeccabile. Spasmodicamente precisa. La preparazione con cui si avvicina ai suoi autori è assoluta ed esemplare: un’immersione totale, spesso non solo virtuale ma anche reale, nei mondi che deve tradurre, siano essi Londra o Calcutta. E non solo oggettiva, documentaria, ma anche soggettiva, sensoriale. Per non perdere nessun riferimento, nessuna sfumatura; per immergersi nei suoni, negli odori, nei paesaggi, nelle luci. Una sorta di metodo Stanislavskij della traduzione. Ogni lavoro di Anna Nadotti è un vero e proprio incontro di mondi, tra inevitabile distanza e appassionata riappropriazione. Noi lettori tutte queste cose non le sappiamo, ma stiamone certi: le leggiamo. A lei dunque il Premio Pavese per la traduzione 2020.

 

Elton Prifti - Premio Pavese 2020
Wolfgang Schweickard - Premio Pavese 2020

Elton Prifti e Wolfgang Schweickard

Sezione saggistica

Elton Prifti è nato a Korçë, in Albania, nel 1975, ha studiato alle Università di Tirana e di Potsdam, conseguendo il titolo dottore in Filosofia con la monografia Italoamericano. Italiano e inglese in contatto negli USA. Analisi diacronica variazionale e migrazionale (2013). Nel 2015 ha ottenuto la libera docenza all’Università del Saarland con la monografia Storia dei contatti linguistici interadriatici. Dal 2013 al 2019 è stato professore di Linguistica romanza all’Università di Mannheim. Dal 2019 è professore ordinario di Linguistica romanza all’Università di Vienna. Ha insegnato all’Università degli Studi della Calabria, all’Università per Stranieri di Siena, all’Università di Salisburgo, all’Università di Potsdam e a quella del Saarland. Dirige e pubblica, assieme a Wolfgang Schweickard, il Lessico Etimologico Italiano (LEI), fondato da Max Pfister. È responsabile della digitalizzazione del LEI. È coeditore della Zeitschrift für romanische Philologie e dei suoi Beihefte. È accademico corrispondente estero dell’Accademia della Crusca. Si occupa di linguistica contattuale e variazionale, di linguistica storica, di lessicografia storica, di linguistica digitale, di dialettologia e di storia della linguistica. Oltre all’taliano, diverse lingue romanze e balcaniche sono al centro dei suoi interessi scientifici, come lo spagnolo, il francese, il sardo, il retoromanzo, l’aromuno e l’albanese.

Wolfgang Schweickard Ha conseguito il dottorato in Filologia romanza nel 1985, presso l’Università di Magonza, in Germania. Nel 1990 ha ottenuto la Venia legendi in Linguistica all’Università di Treviri. Dal 1990 al 1993 è stato professore di Linguistica e Traduttologia romanza presso l’Università del Saarland. Nel 1993 è stato nominato professore di Linguistica romanza all’Università di Jena, dove ha fondato il nuovo Istituto di Filologia romanza che ha diretto fino al 1995. Nel 2001 è tornato all’Università del Saarland come professore ordinario di Filologia romanza. Gli interessi e le attività di Schweickard sono focalizzati, in modo particolare, sulla storia delle lingue romanze e sugli studi di lessicologia e lessicografia. Dal 2004 è membro dell’Accademia delle Scienze e della Letteratura di Magonza. È socio straniero dell’Accademia Nazionale dei Lincei dal 2011, dell’Accademia della Crusca dal 2013 e dell’Accademia delle Scienze di Milano dal 2018. Ha ricevuto la laurea ad honorem dall’Università di Bari nel 2004 e dell’Università di Roma “La Sapienza” nel 2015. È coeditore della Zeitschrift für romanische Philologie e dell’annuario Lexicographica. Dirige inoltre i progetti lessicografici del Deonomasticon Italicum (con Francesco Crifò), del Lessico Etimologico Italiano (con Elton Prifti) e del Dictionnaire étymologique des langues romanes (con Éva Buchi).

La scelta della giuria per la saggistica si è indirizzata verso un’opera di grande respiro internazionale, frutto di un enorme lavoro collettivo: il premio è andato al Lessico etimologico italiano (LEI), un monumentale dizionario etimologico della lingua italiana e dei suoi dialetti, avviato nel 1979 dalla Akademie der Wissenschaften und der Literatur di Magonza, dunque edito all’estero, ma redatto in lingua italiana. L’opera è ancora in corso di realizzazione: ne sono usciti oltre 130 fascicoli, per un complesso di XV volumi; si è giunti alla lettera “C”. Si tratta di un enorme impegno, proiettato su tempi lunghi, a cui hanno posto mano decine di collaboratori, molti dei quali italiani. L’opera è destinata a durare nei secoli. Desta ammirazione per la sua mole, per la ricchezza enorme dei dati raccolti, per l’originalità dell’impostazione, che abbraccia la lingua letteraria antica e moderna, ma anche la lingua pratica dell’uso e la ricchezza dei dialetti italiani. Il fondatore della ciclopica impresa è il professor Max Pfister, morto nel 2017. Il premio viene consegnato agli attuali direttori, Elton Prifti e Wolfgang Schweickard.