I premiati

Antonella Anedda Angioy (poesia), Antonio Franchini (narrativa), Stefano Mauri (editoria), Tommaso Pincio (traduzione), Lorenzo Tomasin, Matteo Motolese e Giuseppe Antonelli (saggistica): ecco i vincitori del Premio Pavese 2021.

Antonella Anedda Angioy

Sezione poesia

La miglior motivazione è nella poesia stessa dell’autrice: «Se ho scritto è per pensiero / perché ero in pensiero per la vita» (da Archipelago): un pensiero leopardiano  di apprensione e d’infinito: «Sostentati dal nulla / esistenti solo dove si sogna» (ibid., Spettri). 

La sua poesia, così ricca di tastiere e ben nota in Europa, è un lungo corale, attenuato verlöschend, un «Concerto per paura, coro e voci» (da Salva con nome), che richiama la difficile arte dell’elisione, così acuminata nel Quinto angolo di Izrail Moiseevic Metter, che  sobriamente si esprime in Voci sovrapposte (Ibid.): «Prova da qui dal rettangolo che percorri in questa vita / prova a dire il soffio delle cose».

La poesia di Antonella Anedda  raccoglie, ausculta, prolunga in respiro «il soffio delle cose»: le restituisce a creaturalità: «L’intero spazio desidera, desidera. Il muro sogna le acacie / le bacche sognano le siepi. Nel sogno l’intonaco raggiunge l’ocra chiaro di un campo…» (Esterno, da Salva con nome).

È una parola che disvela e si disvela all’acme, nel punto in cui destino e responsabilità sono all’ultimo agone: «C’è una pena che ignoro / se mi aspetta in un orto di buio, di paura / o più semplicemente nel cortile / vicino al tronco dell’albero di Giuda» (Getsemani, Dal balcone del corpo).

E ad un tempo nessun patetico excelsior: «Gli uni vicini agli altri / unici in pace riposano i dettagli» (ibid., Antigone).

La poesia di Antonella Anedda è kosmos (distesa di universo) perché la sua parola è eticamente tesa oltre la pronuncia, oltre  colui che  dà  timbro a una parola che appartiene al mondo, e di cui il poeta ha eterna cura:  tale è l’esergo scelto per la sezione “Mondo”: «Tra  te e il mondo scegli il mondo» (Franz Kafka). Ma al mondo non si può servire alludendo: «Servono aghi e forbici. Serve precisione» (Salva con nome), per nominarlo, per continuare il compito di Adamo nel Genesi. Continua, cara Antonella a salvare, a salvarci, con nome.

 
 

Antonella Anedda (Anedda Angioy) è poeta e saggista. Si è laureata in storia dell’arte a Roma studiando successivamente a Venezia e a Oxford. Attualmente vive a Roma. Dal libro di esordio Residenze invernali (Crocetti, 1992, 2020) al volume di saggi Cosa sono gli anni (Fazi 1997) e La luce delle cose (Feltrinelli, 2000) il suo lavoro ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero come il premio Montale per la poesia e il premio Puskin per la saggistica. Ha tradotto poeti classici e contemporanei da Alcmane a Ovidio, da Philippe Jaccottet a Anne Carson. Le sue traduzioni sono raccolte nel volume Nomi Distanti (Empiria,1998, Aragno 2020). Il suo ultimo libro di poesia è Historiae (Einaudi 2019). Il suo ultimo libro di prose è Geografie (Garzanti 2021). Nel 2020 le è stato conferito un dottorato honoris causa dall’Università Sorbonne Paris IV.  Tra i volumi tradotti in varie lingue Archipelago curato dal poeta Jamie McKendrick ha vinto il premio Florio per la traduzione. Di prossima pubblicazione per Interlinea un saggio dal titolo: Le piante di Darwin, i topi di Leopardi

Antonio Franchini

Antonio Franchini

Sezione narrativa

Nel recente Il vecchio lottatore e altri racconti postemingueiani, Antonio Franchini dà vita a un alter ego – Francesco Esente – che è, fin dal nome, colui che assiste senza partecipare e che, cosciente della sua inadeguatezza di fronte al tempo che passa, tiene lo sguardo rivolto al passato, avanza retrocedendo. Come nei suoi libri precedenti (da L’abusivo al Signore delle lacrime) Franchini mette in scena lottatori, viaggiatori, eroi sconfitti in partenza che, dal confine precario del presente, si interrogano sul passato: su quel confine si giocano – tra trattenimento ed energia, tra impulso al gesto eroico e disciplina dello stile  – le possibilità stesse della letteratura. Una letteratura che, per Franchini, è equilibrio tra energia rabbiosa e dominio di sé, tra fatica e quiete, istinto e tradizione, tra esperienza vissuta ed esperienza riflessa.

Il Premio Pavese per la narrativa intende segnalare questa peculiarità quasi omerica del suo stile che, cogliendo la bellezza evanescente anche nel momento della sconfitta e dalla caduta, si apre alla riflessione morale, al sapere amaro dalla fragilità umana. Ne L’abusivo come in Cronaca della fine, nel Signore delle lacrime e nei racconti di Il vecchio lottatore, la realtà è trasfigurata su un piano astorico, si vorrebbe dire mitico, da tragedia classica: così tra saggismo e autobiografia, Franchini intesse la sua meditazione sul passato, interroga i vivi sulla qualità dei loro legami con i non più vivi.

Antonio Franchini è nato a Napoli nel 1958. Ha esordito nel 1991 con Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi (Leonardo). Del 1996 è Quando scriviamo da giovani (Sottotraccia), ripubblicato da Avagliano nel 2003. Con Marsilio ha pubblicato Quando vi ucciderete, maestro? (1996, edizione tascabile Universale Economica Feltrinelli 2019), Acqua, sudore, ghiaccio (1998), L’abusivo (2001, edizione tascabile 2009), Cronaca della fine (2003, edizione tascabile Universale Economica Feltrinelli 2019), Signore delle lacrime (2010), Memorie di un venditore di libri (2011). Per Mondadori è uscito Gladiatori (2005, nuova edizione Il Saggiatore 2016), per Gallucci il libro per bambini La principessa, la scimmia e l’elefante (2009). Vive a Milano e lavora nell’editoria.

Stefano Mauri

Sezione editoria

Stefano Mauri è oggi a capo di GeMS, il secondo gruppo editoriale italiano, di per sé una qualifica che non dovrebbe attirargli le simpatie dell’opinione colta del nostro Paese. È noto infatti che i cosiddetti ‘grandi gruppi’ sono in genere ritenuti responsabili del decadimento dell’editoria libraria: appiattimento nelle scelte, uniformazione, perseguimento ripetitivo di un vantaggio esclusivamente economico. Eppure, e questa è solo la prima delle sue molte diversità, GeMS gode invece di una buona stampa o perlomeno, in quanto grande gruppo, di un cauto se non rispettoso silenzio. Diverso il gruppo GeMS lo è sempre stato, a partire dal fatto che ha avuto non un fondatore, ma due, due figure mitiche dell’editoria italiana, Luciano Mauri e Mario Spagnol, accomunati da una ferrea amicizia, ma tra loro diversissimi, se non opposti, per visioni del mondo e stili di vita. Scomparsi i fondatori, è venuta in luce la maggiore delle diversità di GeMS, e cioè il fatto che, contraddicendo una legge universale, la seconda generazione, costituita dai figli dei fondatori, Stefano Mauri e Luigi Spagnol, si è rivelata persino migliore della prima e ha condotto il gruppo GeMS non solo alle dimensioni, ma al prestigio di cui oggi gode. Tra i due, Luigi Spagnol, purtroppo scomparso atrocemente, ha rappresentato la sensibilità editoriale, la capacità rabdomantica di individuare l’autore e di trasformare il suo libro in un successo spettacolare. Ma l’architetto di GeMS, quello che ha costruito il gruppo e gli ha dato le sue regole di funzionamento è stato ed è Stefano Mauri. E anche qui la parola chiave è diversità, in questo caso diversità di profili, di fisionomie delle case editrici che compongono il gruppo. Profili e fisionomie ben riconoscibili nonostante non derivino da una storia pregressa, ma siano, per la più parte, il frutto di un lavoro attento compiuto in anni recenti, una paziente costruzione di identità diversificate. Soprattutto, Stefano Mauri è riuscito a trovare il punto di equilibrio tra principi e metodi gestionali unificati e centralizzati da una parte e libertà di ricerca, cioè autonomia editoriale, dall’altra. E miglior elogio non si potrebbe fare a chi guida un grande gruppo.

 

Nasce a Milano nel 1961. Nel 1985 consegue la laurea in Lettere con pubblicazione della tesi (Il libro in Italia, geografia, produzione, consumo, Hoepli, Milano) e nel 1987 un Master of Science in Publishing a New York.

Dal 1988 prende parte al grande sviluppo del gruppo editoriale Longanesi, sotto la guida di Mario Spagnol. Dal 1995 assume le cariche di a.d. della Corbaccio e della Guanda. Nel 1997 fonda, assieme a RCS Libri, le edizioni Superpocket (RL Libri). Nel 1998 diviene a.d. anche della Vallardi che risana e rilancia assieme a Renzo Guidieri. Alla scomparsa di Mario Spagnol, diviene a.d. del gruppo alla cui guida nel 2003 acquista e riorganizza la Nord e avvia il risanamento della Garzanti.

Nel 2005 assieme ad Achille Mauri e Luigi Spagnol fonda il Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), riunendo in un’unica proprietà le attività editoriali delle due famiglie.

Nel 2007 con Lorenzo Fazio fonda Chiarelettere. Nel 2008 con Luigi Spagnol e Valerie Miles fonda a Barcellona Duomo Ediciones. Nel 2009 è tra i soci fondatori e ispiratori del Fatto Quotidiano. Nel 2010 fonda IoScrittore, torneo letterario online da cui sono nati successi internazionali, e Edigita, oggi principale distributore di ebook. 

È l’ideatore, insieme all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, di Bookcity. 

Attualmente è presidente e a.d. di GeMS, che rappresenta 20 marchi editoriali, secondo gruppo editoriale libraio di varia in Italia. È vicepresidente di Messaggerie Italiane. 

È inoltre Cavaliere del Lavoro e membro del comitato organizzatore della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri.

Ph. @Yuma Martellanz

Tommaso Pincio

Sezione traduzione

Tommaso Pincio incarna la figura dello scrittore-traduttore, proprio come Cesare Pavese. Come quest’ultimo si è dedicato in particolare alla letteratura anglo-americana, e sempre come Pavese haavuto il privilegio di tradurre o ritradurre alcuni dei suoi autori prediletti, spesso curando anche la prefazione ai volumi.

Come sappiamo, non sempre i due ruoli si integrano tra loro, e la forte personalità letteraria del traduttore-scrittore può fagocitare quella dell’autore straniero, che viene solo posto al servizio del primo, “usato”. Succede spesso, ma non nel caso di Tommaso Pincio. In lui i due ruoli si integrano così bene, da indurre a pensare che non potrebbero addirittura esistere l’uno senza l’altro. Che Pincio abbia una necessità propria, fondamentale, di rispettare la voce altrui.

Quando traduce, Pincio si cala nei panni dell’altro scrittore in uno sforzo consapevole e titanico di immedesimazione e auto-annullamento. Pincio non affronta (solo) un testo, ma una persona; vuole diventare l’altro e parlare con la sua voce: diventare il suo doppio. L’immagine del “doppio” non è nuova per descrivere l’ineffabile arte della traduzione, ma nel caso di Pincio ha una pregnanza particolare, perché riveste un ruolo centrale nel suo stesso essere scrittore, nella sua visione di se stesso e del proprio arco esistenziale. Il suo servirsi di un nom de plume ne è l’esempio più evidente. La lettura dei suoi libri ce lo conferma. E non è un caso che una qualche forma di “doppiezza” si ritrovi nella scrittura e nella vita degli autori del suo pantheon letterario, come Cheever, Kerouac, Dick, Fitzgerald, Orwell.

Accanto a questa impostazione concettuale c’è poi il risultato artistico. Pincio una volta ha detto: “Per me il mestiere più simile alla traduzione è quello dell’attore. Le qualità con cui si misura una buona traduzione sono le stesse che determinano una buona interpretazione teatrale o cinematografica, a cominciare dalla principale: la naturalezza.” E dunque: riesce Pincio nei suoi obiettivi? Riesce a diventare il “doppio” degli autori e a renderli con immediatezza e trasparenza? Ci riesce eccome. E poiché lo fa anche con grande talento letterario, come solo i veri scrittori sanno fare, e con piena comprensione del ruolo della traduzione, e con un’intelligenza critica fuori dal comune, e come se non bastasse con umiltà, a lui siamo felici di assegnare il Premio Pavese 2021 per la traduzione.

Tommaso Pincio, pseudonimo di Marco Colapietro, è pittore, scrittore, critico letterario e traduttore. Nato a Roma nel 1963, dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti e una carriera come direttore di un’importante galleria d’arte, nel 1999 pubblica il suo primo romanzo, M., a cui seguono diversi altri tra cui Lo spazio finito, Un amore dell’altro mondo, Gli alieni, Hotel a zero stelle, fino al più recente, Il dono di saper vivere, del 2018. 

Al 1999 risale anche la sua prima traduzione, Arc d’x di Steve Erickson, per Fanucci. Nei vent’anni successivi pubblica una trentina di altre traduzioni per vari editori tra cui Einaudi, La nuova Frontiera, Bompiani, Codice, SUR, Sellerio, minimum fax, Mondadori, Fanucci. Tra gli autori e le autrici tradotte: Lauren Groff, Philip Dick, Pete Dexter, Jack Kerouac, Joseph O’Neill, Bram Stoker, Valeria Luiselli, Claire-Louise Bennet, John Updike. Nel 2011 ha firmato la ri-traduzione del Grande Gatsby di F. S. Fitzgerald, nel 2020 quella del capolavoro di George Orwell , Millenovecentottantaquattro (volutamente scritto in lettere, come nell’originale) e di Una passeggiata d’inverno di Thoreau.

Ph. ©Harmonia Amanda CC BY-SA 3.0

Giuseppe Antonelli
Matteo Motolese
Lorenzo Tomasin

Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin

Sezione saggistica

Nel marzo di questo 2021, con il VI e ultimo volume dedicato alle Pratiche di scrittura, si è conclusa la grande Storia dell’italiano scritto ideata e diretta da Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin. L’opera ha avuto inizio nel 2014 con la pubblicazione del primo volume, dedicato alla Poesia. Il lavoro è durato dunque otto anni, attraversando, dopo la poesia, la prosa letteraria e le forme dell’italiano dell’uso familiare, giornalistico e burocratico, oltre alle grammatiche e ai problemi della testualità. L’opera ha impegnato una vasta schiera di collaboratori, alcuni dei quali celebri e affermati, altri reclutati tra i giovani più promettenti del settore. Nel panorama delle “storie linguistiche” disponibili per l’italiano, questa di Antonelli-Motolese-Tomasin si segnala per il taglio metodologico assai originale e per l’ardita scelta di privilegiare le forme della scrittura, lasciando da parte l’oralità, che di solito attira molto i linguisti. Gli autori hanno saputo dunque imprimere alla grande opera un carattere specifico e nuovo, differenziandola da ogni precedente, cosa non facile né banale. Per questo, per la loro originalità nell’ideazione e per la coerenza nel realizzare il vasto progetto, portato a conclusione proprio nell’anno in corso, la giuria li ha ritenuti meritevoli di ricevere il Premio Pavese per la saggistica 2021.

Giuseppe Antonelli (Arezzo, 1970) è professore ordinario di Storia della lingua italiana all’Università di Pavia, dove presiede il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei. Collabora agli inserti «7» e «La lettura» del «Corriere della Sera» e racconta storie di parole su Rai tre; per Rai radio tre ha ideato e condotto la trasmissione «La lingua batte». Fa parte del gruppo di lavoro nominato dal Ministero dei beni culturali per la progettazione del grande Museo della lingua italiana che sarà realizzato a Firenze nel complesso di S. Maria Novella ed è il coordinatore nazionale del progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università per la realizzazione del Museo multimediale della lingua italiana (Multi). È il curatore scientifico della mostra Dante Gli occhi e la mente. Un’epopea popolare organizzata al MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna in occasione delle celebrazioni per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri (24 settembre 2021 – 9 gennaio 2022). Con Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin ha curato la Storia dell’italiano scritto in sei volumi (Carocci 2014-2021). Tra i suoi ultimi libri: Il mondo visto dalle parole (Solferino 2020), Il museo della lingua italiana (Mondadori, 2018) e Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica (Laterza 2017).

Matteo Motolese (Roma, 1972) è professore ordinario di Linguistica italiana all’Università La Sapienza di Roma. Dirige, insieme ad Emilio Russo, un censimento dei manoscritti autografi degli scrittori italiani dalle Origini al Cinquecento (Autografi dei letterati italiani, 2009-), ora disponibile anche in versione digitale (www.autografi.net). Ha coordinato, insieme a Giuseppe Antonelli e Lorenzo Tomasin, una Storia dell’italiano scritto in più volumi pubblicata dall’editore Carocci. È membro della direzione della rivista “Lingua e Stile” e collabora con il supplemento ‘Domenica’ del «Sole24ore». Tra i suoi ultimi libri, Italiano lingua delle arti. Un’avventura europea (1250-1650) (Il Mulino, 2012), Scritti a mano. Otto storie di capolavori italiani da Boccaccio a Eco (Garzanti, 2017).

Lorenzo Tomasin (Venezia, 1975) è dal 2012 professore di Filologia romanza e di Storia della lingua italiana all’Università di Losanna (Svizzera); ha insegnato anche nelle università «Bocconi» di Milano, «Ca’ Foscari» di Venezia e alla Scuola Normale di Pisa, dove si è formato. Ha ricevuto una venia legendi in Filologia romanza a Saarbrücken (Germania). Le sue ricerche mettono in relazione storia linguistica e storia culturale, muovendo da Venezia ed estendendosi alla tradizione letteraria italiana e poi all’Europa romanza. Tra i suoi ultimi libri: Europa romanza (Einaudi 2021), vincitore del Premio «Mondello per la critica», e Il caos e l’ordine. Le lingue romanze nella storia della cultura europea (Einaudi 2019). Collabora regolarmente con il Domenicale del « Sole-24ore » e con lo svizzero « Corriere del Ticino » ed è membro della giuria dei letterati del premio Campiello.