In questa nuova puntata della rubrica La stanza delle meraviglie di C. Pavese, Claudio Pavese ricostruisce le vicende della casa editrice Einaudi durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’11 dicembre 1942 Giulio Einaudi scriveva da Torino a Leone Ginzburg in esilio a Pizzoli: « …la situazione generale è molto seria e la nostra in particolare grave a causa della completa distruzione degli stabilimenti tipografici Pozzo e Rattero e della legatoria Anfossi dove erano in corso molti lavori della Casa Editrice».
Einaudi indicherà poi in 23.800 i volumi distrutti per un danno di 669.600 lire, senza calcolare la perdita di carta e cliché, e informava, quindi, della decisione di trasferire il magazzino e alcuni uffici direttivi a Roma che, a quel tempo, veniva considerata “città aperta”. Sicuramente Einaudi, nella lettera a Ginzburg, faceva riferimento al bombardamento avvenuto quell’11 dicembre sulla città.
Ma ad essere danneggiate non furono soltanto le tipografie. La stessa sede Einaudi di via Gioda (l’attuale via Giolitti) angolo piazza San Carlo, fu distrutta il 13 luglio 1943 durante il più disastroso bombardamento che colpì l’Italia durante la seconda guerra mondiale e che provocò 742 morti e 914 feriti.
Le bombe su piazza San Carlo
È interessante rileggere le parole di Giulio Einaudi che ben descrivono l’ansia e lo sgomento di quei giorni frenetici: «..via Giolitti… una grande sala d’angolo, con a fianco, dal lato della piazza, due uffici di redazione, in uno dei quali stava Pavese, e dal lato della via altre stanze per gli uffici amministrativi e commerciali. A pianoterra, nel cortile interno, il magazzino dei libri. Dopo le prime incursioni aeree affittammo un magazzino sotterraneo in via Roma, non a prova di bomba, ma comunque più sicuro. Via via che le incursioni si intensificavano, trasferimmo gran parte dei libri in depositi periferici. Per tutto il periodo della guerra, ogni sera portavamo i manoscritti, le macchine da scrivere – allora difficilmente sostituibili – nonché i documenti di giornata, nella cantina rifugio dove già era custodito l’archivio. Un responsabile a turno, doveva dormire nella stanza della redazione accanto all’ufficio di Pavese e, in caso di bombardamento, una piccola squadra di tre o quattro persone doveva accorrere in suo aiuto al cessato allarme coi mezzi più rapidi.
Una notte io ero di turno. Non sentii le sirene d’allarme, e fui svegliato da un gran bagliore, uno spezzone incendiario aveva sfondato la finestra e si era conficcato nel pavimento ai piedi della mia branda. Il pavimento di legno cominciò a bruciare. Una luce rossastra veniva su dalla piazza: tutto all’intorno era un incendio. Non solo la mia stanza era colpita, ma anche la grande sala e gli uffici. Mi adoperai a rallentare gli incendi con dei sacchetti di sabbia. Al cessato allarme venne in aiuto la squadra di soccorso, e riuscimmo a salvare quanto poteva essere utile l’indomani al nostro lavoro, gli apparecchi telefonici anzitutto, e poi sedie e tavolini. L’alba mi colse sui gradini della chiesa di San Carlo… in mattinata il pavimento crollò, e del palazzo, e di quelli adiacenti, non rimasero che le facciate annerite».
La nuova sede di corso Ferraris
Einaudi, in seguito alla distruzione della sede di via Gioda, decise di operare in una nuova sede in corso Galileo Ferraris 77, poco distante dall’abitazione della sorella di Cesare Pavese (dove lo scrittore stesso viveva) e ugualmente poco distante dalla casa del senatore Luigi Einaudi entrambe situate in via Lamarmora (prima parallela del corso Galileo Ferraris), l’una al civico 35, l’altra al 60.
Racconta Giaime Pintor in Doppio diario: «26 luglio ‘43 – …finalmente arrivo…: soldati armati all’uscita della stazione e agitazione in piazza, cartelli con scritte di viva il Re, viva Badoglio, viva la pace, la libertà… Io punto subito sulla sede di Einaudi sperando di trovarla in piedi. Viceversa ho la sorpresa di trovare un cumulo di macerie…».
Dice Pavese, appena tornato dalla sede romana, a Fernanda Pivano nella lettera del 26 luglio 1943 inviatale a Mondovì Breo dove lei, con la famiglia, era sfollata dopo i bombardamenti di fine novembre 1942: «Cara Fern, sono arrivato a Torino oggi e sono occupatissimo in quanto il mondo è tutto cambiato. La nuova sede è Corso Galileo Ferraris 77, telefono 40 810. Si faccia viva. Suo Pavese».
Ma anche questa nuova sede ha breve vita. Un altro terribile bombardamento nella notte tra il 7 e l’8 agosto rende inagibili i locali.
Ancora Pavese nella lettera del 13 agosto 1943 a Muscetta a Roma: «… se di altre pratiche mi dimentico, incolpane la bomba di sabato che mi ha intronato trippe e schedari».
A casa di Luigi Einaudi
La nuova sede precaria e provvisoria viene allestita, alla meglio, in casa di Luigi Einaudi, in via Lamarmora; il senatore, dopo i bombardamenti della fine del 1942, risiedeva con la moglie stabilmente a Dogliani.
Leone Ginzburg giunto a Torino il 10 agosto 1943, dopo il lungo periodo di confino trascorso a Pizzoli, scrive alla madre nella lettera dell’11 agosto: «Cara mamma, sono a Torino da ieri. Ho trovato la casa [Einaudi] nuovamente distrutta, donde il nuovo trasloco (questa è la casa del senatore, evacuata da lui e dall’inquilino del pianterreno). Sono qui che lavoro in una grande camera al pianterreno, che dà sul giardino. Alla mia destra c’è il tavolo di Pavese, che sta tormentandosi i capelli. Tutto è così normale, così pacifico qui; e invece c’è la guerra, ci sono i bombardamenti e la situazione è piena di incognite…».
Cercare un’altra sede più confortevole? Inutile. I devastamenti di Torino in quel periodo (città più bombardata d’Italia) avvenivano con frequenza pressoché giornaliera.
Il 13 agosto Pavese scrive a Pivano, con la quale era in contatto epistolare costante: «Cara Fern, altra botta. Casa sua è intatta», riferendosi al bombardamento del 12 agosto che distrusse l’ospedale Mauriziano, peraltro limitrofo all’abitazione di Pavese.
Ci fu per l’Einaudi, a Torino, durante questo nefasto periodo, ancora un’ulteriore sede; una sede assolutamente casuale e improvvisata… Ma tratteremo l’argomento in un’altra puntata.
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