Premio Pavese Scuole 2023

15 novembre 1940

Con questo testo sul rapporto tra Natura e Destino nella poetica pavesiana, Sabrina Valenti è una dei cinque vincitori del Premio Pavese Scuole 2023.

Pubblichiamo 15 novembre 1940, uno dei cinque testi vincitori della quarta edizione del Premio Pavese Scuole, riconoscimento che affianca il Premio Pavese per avvicinare i giovani allo scrittore e promuovere la lettura delle sue opere in chiave personale. L’autrice è Sabrina Valenti, studentessa del Liceo Scientifico “N. Rodolico” di Firenze, cui vanno i nostri complimenti.

15 novembre 1940. 

Odio. Terrore. Distruzione. Vite spezzate. Strade macchiate di sangue innocente. Guerra. 

Ancora guerra. Morte. Morire. Uccidere. 

Uccidere persone, anziani, donne, madri, bambini. 

Uccidere nemici, ma anche amici. 

Abbiamo veramente degli amici? 

La monotonia della vita da soldato. Vedere ogni singolo giorno odio, terrore, distruzione, vite spezzate, spargimento di sangue. 

Ma io cosa c’entro in tutto questo? Io non volevo nemmeno arruolarmi. Non ho avuto scelta. E vedere tutti i giorni questo scenario sanguinolento mi disgusta. Svegliarmi con il pensiero che anche oggi delle anime innocue verranno strappate dal loro corpo mi nausea. Oramai non ci faccio più caso. Convivo con questo senso di oppressione nel petto da troppo tempo. Oramai ci sono abituato. Niente mi dà più sollievo. Niente mi turba più. 

Apatia. Assenza di sentimenti. 

Non so più cosa pensare della mia vita. Non mi piace. Non faccio niente per cambiarla. Non ho la forza per cambiarla. Vivo la mia monotona vita da soldato di secondo in secondo. 

Non ho nessuno. Non ho familiari, sono tutti morti. Non ho amici, tanto meno nemici. Ho solo me stesso. Non so più nemmeno se vale la pena continuare a vivere. Ma vale la pena morire? 

Vivo la vita aspettando che capiti qualcosa. Vivo aspettando la pace. Arriverà mai la pace? Non so più nemmeno da quanto sono in guerra. Decisamente troppo. Anche un solo secondo di guerra è troppo. 

Vivere? Non lo so. Morire? Non lo so. Scappare? Non lo so. Non so prendere una decisione. Non so fare scelte. La mia vita è meccanizzata, ripetitiva. Le azioni non hanno più un senso. Continuo a muovermi, camminare, mangiare, bere in automatico, come se il cervello, la mente e il cuore non avessero più effetto sul mio corpo, come se un interruttore li avesse spenti. 

Ha un senso ciò che faccio ogni giorno? 

Ha un senso uccidere? Ha un senso la guerra? 

La guerra, il volere dei potenti. E chi ci rimette non sono nemmeno loro. I piani alti del mondo non si sporcano le mani. Delegano tutto ai civili. Siamo noi, gente comune, che vediamo il nostro stesso sangue sulle strade delle città. Siamo noi, gente comune, che ci ritroviamo senza nessuno per cui continuare a vivere. Siamo noi, gente comune, che ci rimettiamo. Tanto, cosa cambia ai potenti se parte della loro popolazione muore per raggiungere ciò che vogliono? Loro possono desiderare ciò che vogliono e noi? 

Io vorrei solo la pace. Vorrei solo la tranquillità, l’armonia.

Freddo. 

Mi sono svegliato anche questa mattina, come tutte le altre mattine, con il rumore di una bomba che si è schiantata qui vicino. 

Gelo. 

È solo metà novembre, non mi ricordo fosse mai stato così freddo in queste date. Non c’è nemmeno più di tanto per coprirsi qui in guerra. Gli abiti non sono molto pesanti e nemmeno le coperte offrono un tiepido riparo. 

Ghiaccio. 

Apro gli occhi. Vedo una margherita. Una margherita? Che strano. Chiudo gli occhi, li riapro. Quel candido fiore dai petali bianchi come il latte è sempre lì. Non è possibile che sia una margherita con questo freddo, eppure è proprio lì. La vedo o sto sognando? Impossibile che stia sognando, quasi non chiudo occhio di notte. E allora, cosa ci fa lì quell’ immacolato fiore tutto solo? Solo come me. 

Urla. Grida. 

Ci stanno attaccando. 

Devo alzarmi, non ne ho la forza. Voglio rimanere a guardare quel solitario fiore dai petali candidi e delicati. Non posso restare. Devo andare. 

Un’esplosione mi fa distogliere lo sguardo dalla margherita. Non ho tempo per ricercarla. Mi alzo. Sono già vestito. Hanno bisogno di me in città. Macerie. 

Strade dissestate. Edifici rasi al suolo. 

Incendi. 

Corpi senza anima lasciati sui bordi dei marciapiedi. 

Un conato di vomito mi assale. 

Distruzione. 

Non riesco a capire come le persone possano arrivare a distruggere ciò che loro stesse creano. Non riesco a capire come si possa voler uccidere un’altra persona. Una persona che potrebbe essere tua amica o l’amore della tua vita. 

Ah l’amore. Tormento di noi esseri umani, sempre alla costante ricerca di un qualcuno che ci ami. E allora perché esiste l’odio, quando l’amore è mille volte meglio. Perché la guerra, se esiste la pace? 

Cammino acquattato tra i resti di questa città, cercando di scansare i cadaveri esanimi di persone di ogni genere. Non si meritavano di morire così. Nessuno si merita di morire in questo modo. Nessuno. 

Cammino di soppiatto tra i resti di questa città, nascondendomi dietro i cumuli di macerie. Non devo essere visto. Non so perché lo faccio, non mi cambierebbe niente morire. Istinto di sopravvivenza, credo. Non ho mai pensato di togliermi la vita, tanto meno di strappare l’anima dal corpo altrui. Se c’è una persona che proprio non è adatta a fare il soldato, quello sono io. Chiamatemi pure pappamolle, cagasotto,

femminuccia, tanto non cambierebbe niente. Non cambierò. Non ammazzerò mai nessuno. 

Pianto. 

Ho sentito male? No, è decisamente un pianto. Lo sento bene. Forse qualcuno è ancora vivo. Mi alzo in piedi. Cerco di capire da dove arriva quello straziato lamento. Intorno a me confusione. Cerco di concentrarmi. C’è troppo frastuono. Sento il rumore di malefici ordigni che esplodono, proiettili che sfrecciano. In sottofondo rimane il pianto. Cerco di focalizzarlo. Mi sa che sono rimasto fermo allo scoperto per attimi di troppo. 

Caos. 

Silenzio. 

Buio. 

Nero pece. 

Riapro gli occhi. Un fischio mi trapassa il cervello da orecchio a orecchio. Serro gli occhi. Sono disteso per terra. Cos’è successo? Sento caldo. Aspetta, caldo a metà novembre? Apro gli occhi. Lingue rosse di fuoco mi circondano. Provo a guardare meglio. Cos’è quel puntino bianco? Eccolo ora sì che lo vedo. Una margherita. 

Petali bianchi candidi come la neve d’inverno. Non sento più nulla. Sono concentrato solamente su quella meraviglia della natura. Mi avvicino. Rimango incantato. Una goccia di sangue finisce su uno di quei meravigliosi petali. Immacolati petali bianchi corrotti dal crudele rosso sangue. Mi sento in colpa. Mi viene da piangere. Non volevo sciupare perennemente quell’innocente e anomalo fiore solitario. Solo come me. Senza qualcuno che gli stia vicino. Senza qualcuno per cui vale la pena continuare a vivere. Eppure lui nella sua solitudine va avanti. Corrotto dal sangue della guerra continua a vivere. Resiste al gelido tempo, resiste all’ustionante fuoco. Mi domando come faccia a essere così forte, come faccia a non cadere nella tentazione di morire. Rimango ammaliato dalla forza enorme della natura. 

Un’esplosione mi riporta alla realtà. 

Frastuono negli orecchi. 

Dolore lancinante. 

Sono ferito. 

Sangue che sgorga fuori dalle vene. 

La margherita è sempre lì, immobile nella sua serenità. Non sento più freddo, solo dolore. Un ronzio mi rimbomba nelle orecchie. Alzo lo sguardo. Vedo un altro puntino bianco. Poi un altro ancora, ancora e ancora. Formano una scia. Sono tutte margherite. Singole margherite solitarie di metà novembre che formano una fila. Non vedo bene dove conducono. Strizzo gli occhi. Sembra un bosco. Sì, lo è decisamente. Non è molto lontano. Sembra abbastanza fitto, potrebbe essere un buon riparo. Provo ad alzarmi per arrivare fin laggiù. Le mie gambe non reggono. Non ho forze. Ho perso

troppo sangue. Decido di strisciare. Devo raggiungere il bosco. Non so perché, sento che devo farlo. 

Verde. 

Calma. 

Tranquillità. 

È autunno, non dovrebbero esserci ancora alberi verdi. Eppure sono circondato da foglie di un colore come lo smeraldo. Non me ne capacito. Sono sicuro che sia autunno? Non è un mio problema in questo momento. Non mi interessa. Sono contento di ritrovarmi circondato da questo colore rassicurante. Non sento più niente. Non sento dolore. Non sento freddo. Non sento fame. Non sento più nemmeno tutti i rumori assordanti dell’odio umano. 

Pace. 

Vita. 

Tutto qui attorno mi pare pieno di un’enorme forza vitale. Vorrei essere come la natura. Vorrei essere come le margherite. Vorrei sentirmi parte di questa forza e vitalità. 

Non riesco più a muovermi. Ho perso troppo sangue. Vorrei piangere, ridere, gridare. Vorrei provare tutte quelle emozioni che è da un po’ che non provo. Tutto qui è così tranquillo. Tutto qui è così in armonia. Tutto qui è così in pace. Il petto mi si gonfia di una nuova emozione. Anzi, nuova non è. Credo. Felicità? Si è decisamente Felicità. Nonostante tutto. Nonostante la guerra, l’odio, la morte, il dolore, sono felice. 

Sento i muscoli del mio viso contrarsi e le mie labbra distendersi in un sorriso. Sono felice. 

Una lacrima di gioia scivola tranquilla sulla mia guancia fino al collo. Buio. 

Pace. 

Serenità. 

Il mio desiderio si è avverato. 

Volevo la tranquillità e la tranquillità ho ottenuto. Finalmente ora faccio parte di quel sistema creato dalla natura, dove tutto è in armonia. Finalmente sto bene. E qui in eterno sarò in pace. 

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