Per la nostra rubrica di critica pavesiana contemporanea, Iuri Moscardi ha intervistato la disegnatrice e lo sceneggiatore di Storie da Spoon River, adattamento a fumetti dell’antologia pubblicato da Feltrinelli nel 2024.
Deborah Allo (che condivide il compleanno con Pavese) è fumettista e illustratrice di moda. Dopo gli studi alla Scuola del Fumetto di Palermo ha iniziato il suo percorso lavorativo come colorista e poi disegnatrice: da allora, le storie da lei illustrate hanno sempre avuto il tema della “morte” come comune denominatore (le due graphic novel delle storie di Sergio Algozzino, Il Piccolo Caronte del 2017 e Myrna e il tocco della Morte del 2019, Tunuè; il fumetto Tim Burton’s Nightmare Before Christmas – The Battle for Pumpkin King del 2023, Tokyopop). Nel suo lavoro come illustratrice di moda e nei suoi progetti personali è solita lavorare per strutture simboliche, astrologiche e archetipiche.
Marco Rizzo è giornalista e scrittore. Si occupa principalmente di fumetti, scrivendoli e scrivendone, per vari editori (Panini, Feltrinelli, Disney e altri ancora). Da diversi anni collabora con Marvel e si è specializzato nel cosiddetto graphic journalism utilizzando il linguaggio fumettistico per il racconto di vicende reali. Insieme, hanno realizzato Storie da Spoon River (2024, Feltrinelli), una traduzione delle poesie di Masters in graphic novel. Li abbiamo intervistati.
L’Antologia di Spoon River non è un libro qualsiasi per i lettori italiani: da cosa è nata l’ispirazione per una nuova traduzione di queste poesie, stavolta accompagnata dai disegni?
DA: La mia ispirazione parte dallo splendido lavoro di Marco, non avendo contribuito alla scelta del libro da illustrare. A livello grafico, ho iniziato facendo una raccolta di immagini, foto e illustrazioni che si avvicinassero all’idea che avevo in mente, prendendo un po’ spunto dalle linee dei film di animazione Disney degli anni ’60, ricercando e provando ad avvicinarmi anche alla velatura grottesca delle illustrazioni di Ronald Searle ed Edward Gorey o passando ore a cercare foto di defunti dell’epoca, che mi hanno suggerito visivamente alcuni attori di riferimento per caratterizzare alcuni dei personaggi.
MR: Ho colto il suggerimento del direttore della collana Feltrinelli Comics, che già da tempo rifletteva sull’idea di “tradurre” l’opera di Masters in fumetti. Ha chiesto a me, sapendo che l’avrei accolta come una sfida, e ci siamo subito trovati concordi nell’individuare in Deborah l’illustratrice ideale delle atmosfere e dei personaggi della raccolta.
I traduttori e le traduttrici di questo libro sono stati delle vere e proprie celebrità del mondo intellettuale e culturale italiano: ci sono state delle traduzioni precedenti che vi hanno ispirato?
DA: Più che ispirata, direi di essermi legata alla copia che ho acquistato soltanto per lavorare al fumetto. Quando ho iniziato i primi bozzetti preparatori non avevo il libro in casa e scoprii solo poche ore dopo la proposta di Marco che si trovava nella libreria dei miei. Così mi sono precipitata ad acquistarne un’altra copia, diversa e tutta mia, per poter subito iniziare con gli studi: optai per la versione curata da Enrico Terrinoni, che adesso custodisco gelosamente. È stata quella che ho letto appuntando sulle pagine piccole idee e veloci schizzi riguardanti la fisionomia dei personaggi mentre attendevo la sceneggiatura: non sapevo ancora quali personaggi Marco avrebbe deciso di raccontare e fantasticavo sulle possibili sue scelte.
MR: No, nel senso non trasposizioni dirette. Credo che qualsiasi opera sia frutto di un filtro fatto di emozioni e ispirazioni anche lontane, anche diverse. Quando immaginavo la Spoon River a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nella mia testa c’erano le immagini di Killers of the Flower Moon di Scorsese, che avevo appena visto, o le pagine di Magico Vento, fumetto seriale di grandissima qualità ideato dal compianto Gianfranco Manfredi. Salvo l’opera originale, ho cercato di non farmi influenzare da altre interpretazioni, tenendomi lontano il più possibile – e con grande sacrificio – anche da De André.
Proprio Fabrizio De André scrisse che, per il suo disco Non al denaro non all’amore né al cielo, “ridusse” l’universo di Spoon River ad alcuni sentimenti universali e a 8 personaggi. Come avete operato la vostra selezione?
DA: Per quanto riguarda la selezione dei personaggi avevo espresso un unico desiderio, subito accolto da Marco: avrei amato illustrare il falco della poesia L’ignoto e lui l’ha inserito in modo che accompagnasse e sorvolasse tutti i capitoli. Quel falco, libero e inaccessibile, mi è sempre apparso come una contrapposizione e un simbolo positivo, di speranza, in contrasto alle “folle ingabbiate” protagoniste dell’opera di Masters.
MR: Proprio per non cercare di fare un adattamento di un adattamento, ho scartato anzitutto le figure scelte da Faber (c’è solo una citazione al suonatore Jones nelle prime pagine). Ho scelto dunque dei personaggi che fossero rappresentativi di diverse classe sociali e generi ma che fossero connessi tra di loro, a volte tramite suggestioni, a volte con figure ricorrenti, altre ancora raccontando la storia da due diversi punti di vista (come avviene anche in Masters). Ad esempio, il padre di Johnny Sayre al suo capezzale ricompare tra i clienti della prostituta Cleopatra, Minerva Jones è protagonista di un capitolo che racconta la sua tragedia ma colui che la violenta, Butch Weldy, ha a sua volta un capitolo dedicato all’incidente sul lavoro che lo lascia cieco e storpio. Tra le righe, poi, ci sono cenni e cameo di molte altre figure che i lettori appassionati certamente coglieranno.
L’Antologia di Spoon River affascina i lettori e le lettrici del nostro Paese fin dagli anni Quaranta: vi siete chiesti come mai noi italiani siamo così attratti da questo libretto che, come è stato dimostrato a livello accademico, in verità con l’Italia non c’entra proprio nulla?
DA: Perché è un’opera attuale, e parla di tutti e a tutti quanti noi. Credo che, nonostante siano passati anni dalla prima pubblicazione, ancora oggi ci si possa sentire vicini a molti dei personaggi, riconoscendosi in loro nel bene e nel male.
MR: Perché racconta noi, non noi italiani ma noi esseri umani, con sfortune, disgrazie, gioie, dolori, successi, fallimenti, cattiverie, ipocrisie, slanci di dignità e innamoramenti. La fortuna scolastica e le traduzioni di alto profilo hanno contribuito a favorirne il successo editoriale tra le generazioni.
Infine: la scelta del disegno è anche un modo per cercare nuovi lettori e nuove lettrici? Quali?
DA: Lo spero tanto! Chissà se qualcuno – anche solo vedendo la copertina su uno scaffale, con la coda dell’occhio – seppur senza conoscere l’antologia, sia già stato attratto e chiamato a specchiarsi tra le nostre pagine, appassionandosi al punto da voler approfondire e leggere anche l’opera originale. D’altronde, il disegno è un linguaggio immediato e diretto, forse più vicino anche a sguardi più assopiti.
MR: Sono certo che i primi lettori del nostro adattamento siano i cultori dell’opera, o chi magari se ne è affezionato durante il percorso scolastico. Ma spero che le atmosfere e le illustrazioni attirino nuovi lettori, trascinandoli sulla collina, spingendoli a conoscere e apprezzare Spoon River e i suoi personaggi.
“Un Pavese ci vuole”: ho usato questa semi-citazione da La luna e i falò per una serie di video-interviste con il direttore della Fondazione Cesare Pavese, Pierluigi Vaccaneo. Settantacinque anni dopo il suicidio di Pavese, secondo voi abbiamo ancora bisogno di lui come uomo o come intellettuale? Perché?
DA: Secondo me, uomini come Pavese resteranno sempre vivi grazie a ciò che hanno lasciato. Lui ha scelto di morire così come, con i suoi scritti, è destinato all’immortalità. E potrebbe essere paragonabile a un falò che si accende per far piovere, per far riflettere e ripulire lo sporco che c’è oggi nel mondo. Ma in quanti siamo rimasti a credere nella Luna?
MR: Abbiamo e avremo sempre bisogno di intellettuali, di bella scrittura e di indagini del nostro animo, specie se viste da chi ne ha uno tormentato. Specie in questi tempi cupi dove dietro i lustrini del quieto vivere del nostro mondo occidentale si celano le tragedie dei più sfortunati, dei diseredati, dei dimenticati.
Intervista a cura di Iuri Moscardi

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Con l’autore di “Philip Roth e l’Italia”, Francesco Samarini, ripercorriamo il rapporto tra il gigante della letteratura americana e i grandi autori della nostra, Pavese incluso.

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