Un marchio caro a Pavese

In questa settima puntata della rubrica La stanza delle meraviglie di C. Pavese, Claudio Pavese ripercorre la storia del marchio Einaudi col suo celebre struzzo. 

L’emblema dello struzzo che contraddistingue le edizioni Einaudi non nacque con l’Einaudi, ma venne ereditato dalla rivista “La Cultura” di De Lollis di cui Giulio Einaudi fu l’ultimo editore. Poi il regime fascista nel 1935 decise di sopprimerla.

Una lunga storia

Questo marchio va ben più in là nel tempo. Comparve per la prima volta (con commento in lingua italiana) nel 1561, anno in cui fu pubblicato nel volume Le sententiose imprese di Monsignor Paolo Giovio. Il libro contiene una raccolta di simboli e di motivi allegorici (le “imprese” appunto), che Giovio stesso ideava, su commissione, per i Signori e i Capitani del tempo. Questi li adottavano come emblemi di famiglia e li facevano ricamare su bandiere e livree delle proprie Compagnie. 

L’immagine dello struzzo fu ideata da Giovio per “l’impresa” di Girolamo Mattei Romano “capitan de’ cavalli della guardia di Papa Clemente, “uomo risoluto e d’alto pensiero e d’animo deliberato”. 

Mattei, che aveva subito un gravissimo lutto, l’uccisione del fratello, era riuscito con pazienza e perseveranza a rimandare nel tempo la vendetta per il torto subito e aveva chiesto a Monsignor Giovio di ideargli un emblema “significante ch’un valoroso cuore ha forza di smaltire ogni grave ingiuria”. È questo il senso originario del motto “Spiritus durissima coquit” che accompagna l’immagine dello struzzo. 

L’impresa compare nel libro, pubblicato a Lione e dedicato ai Duchi di Savoia, a pagina 115 e fu “tradotta” in rima da Gabriele Simeoni che poco sotto l’emblema così, a quel tempo, lo commentava: “Divora il struzzo con ingorda furia / il ferro e lo smaltisce poi pian piano /così (come dipinge il buon Romano) / smaltir fa il tempo ogni maggior ingiuria”. 

Geniale poetica interpretazione.

La ricomparsa

Questo marchio cadde nell’oblio per secoli e secoli, ma nel 1930 eccolo ricomparire sulla rivista La Cultura di De Lollis, guarda caso con l’ingresso nel comitato direttivo di Mario Praz, grande studioso di estetica e di costume, che probabilmente convinse in tal senso De Lollis. 

L’Einaudi incorporò alla sua nascita (1933) la rivista che da tempo versava in cattive condizioni economiche, ma non utilizzò, da subito, il marchio. Le prime pubblicazioni della Casa torinese erano troppo influenzate graficamente dal razionalismo estetico della Casa Frassinelli. Quella casa editrice in cui i giovani fondatori dell’Einaudi avevano, da giovanissimi, “fatto palestra” come traduttori, consulenti, illustratori.

Bisognerà attendere fino al marzo del 1935 (quasi un anno e mezzo dopo la sua fondazione) quando sul primo volume della “Biblioteca di cultura storica” lo struzzo farà la sua prima comparsa su una pubblicazione Einaudi. 

Probabilmente le retate della polizia fascista, il confino comminato a Pavese e il  carcere a Ginzburg resero in quei tristi momenti di nuovo “particolarmente attuale” il significato del marchio e del motto.

Cesare Pavese fu sempre particolarmente affezionato al marchio della Casa. Basta leggere quello che scrisse sulla Antologia Einaudi 1948 da lui interamente curata: “Spiritus durissima coquit è il cartiglio che il vecchio struzzo, insegna delle edizioni Einaudi, porta intorno al capo. E per molto tempo questo emblema fu l’unica illustrazione, l’unico lusso tipografico che accompagnasse i severi volumi nostri…”. E poi parla delle sopraccoperte di Menzio e poi ancora della “fervida fucina” di Politecnico… 

Ma quanta nostalgia trapela, a mio parere, per il libro semplice, senza “strilli commerciali”, fatto di contenuti esposti con rigore, sobrietà ed equilibrio. Quanta polemica trapela fra le righe contro lo “sfavillante” sperimentalismo milanese di quegli ultimi tempi. Sperimentalismo che aveva totalmente eliminato dalle sue creazioni grafiche “l’orpello cinquecentesco”. 

Quello di Pavese sull’Antologia ci appare come uno squillo di tromba; un richiamo all’ordine. Non per nulla, di lì in poi, iniziò in Einaudi un nuovo periodo che io definisco “dell’equilibrio e della funzionalità”; periodo segnato dal lavoro solerte e geniale di Oreste Molina che tornerà a riutilizzare il marchio storico e a realizzare libri graficamente sobri e rigorosi e che preparerà la strada alle “bianche invenzioni” di Bruno Munari.  

Un cofanetto artigianale
La stanza delle meraviglie

Un cofanetto artigianale

In questa quinta puntata della rubrica La stanza delle meraviglie di C. Pavese, Claudio Pavese presenta un’invenzione einaudiana da collezione.

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