In questa nuova puntata della rubrica La stanza delle meraviglie di C. Pavese, Claudio Pavese racconta la presenza di Cesare Pavese nelle collane della casa editrice milanese.
Durante i cinquant’anni di vita dell’Einaudi di Giulio Einaudi (1933-1983), Cesare Pavese, einaudiano doc, ebbe a che fare per ben due volte con l’editore Mondadori.
La collana Medusa
La prima collaborazione riguardò il suo mestiere di traduttore. Nel febbraio 1934 fu pubblicato Il 42° parallelo di John Dos Passos da lui rielaborato. Seguì nel luglio 1938 Un mucchio di quattrini sempre dello stesso autore americano. Infine nel marzo 1942 venne dato alle stampe Il borgo di William Faulkner.
Tutte e tre le opere furono inserite nella fortunatissima collana Medusa della Casa milanese, graficamente concepita dal grande Mardesteig e nata nel 1933 sulle orme dell’altrettanto famosa serie Albatross (1932) sempre da lui “disegnata”.
Di lì a poco sarebbero nati i Penguin Books. Era quella di quegli anni un’Europa in forte crisi economica e l’editoria cercava di porre rimedio sfornando paperbacks (librini in brossura) sull’onda della vecchia e gloriosa Tauchnitz di Lipsia, nota soprattutto per la sua Collection of British and American Authors [di cui alcuni esemplari appartenuti personalmente a Pavese sono attualmente esposti nella Sala Dialoghi del museo pavesiano grazie alla donazione della famiglia Molina, ndr].
Per lanciare la Medusa, Mondadori realizzò nel 1934 un catalogo che metteva in bella mostra i traduttori coinvolti nell’impresa e così li presentava: «L’Editore ha chiamato a dar veste italiana alle opere scelte per la Medusa una vera falange di giovani scrittori specialisti delle varie letterature e sovente in diretti rapporti coi singoli autori, sì che le traduzioni risultassero vere e proprie conquiste letterarie…».
Integrava questa ampollosa descrizione dei letterati coinvolti con le loro fotografie.
E mentre Vittorini sceglieva una sua foto, direi “rigorosa”, con tanto di impermeabile e basco ben calzato, Cesare Pavese si presentò ai lettori come baldanzoso “vogatore” sulle acque del Po. Scelse, difatti, una singolarissima foto che lo ritraeva seminudo in barca, con il capo avvolto da un’improvvisata bandana. Un avventuroso esploratore? Un pirata malese catapultato a Torino? Molto più semplicemente, un anticonformista. Così come si dimostrò, poi, per tutto il resto della sua vita.
Accordi e disaccordi
Il secondo contatto tra Pavese e la casa editrice milanese non avvenne “personalmente” ma indirettamente tramite le sue opere.
Nel 1955, quindi ben cinque anni dopo la morte dello scrittore, Giulio Einaudi attraversò una pesante crisi finanziaria che lo costrinse a cedere alcune sue preziose collane alla neonata casa editrice Boringhieri (la Scientifica, l’Economica, la Viola di studi etnologici e religiosi, e altre ancora). Inoltre, nel 1957, grazie a Raffaele Mattioli, presidente della Banca Commerciale Italiana, stipulò un accordo con Arnoldo Mondadori che prevedeva la cessione di gran parte dei titoli del catalogo Einaudi alla casa milanese a fronte di un cospicuo corrispettivo economico.
L’accordo aveva durata decennale (ma fu poi prorogato) e poneva una clausola alquanto vessatoria: Einaudi non poteva pubblicare e vendere, in quei dieci anni, i titoli ceduti se non a un prezzo almeno doppio di quello Mondadori. In pratica se Mondadori metteva sul mercato una Bella estate di Pavese a 300 lire nella sua collana tascabile Libri del Pavone, Einaudi non poteva vendere la stessa opera a meno di 600 lire.
Il guaio per Einaudi fu che Mondadori non inserì quei libri nella sua collana più economica ma nella serie Il bosco che prevedeva edizioni non così a basso costo.
Ecco, quindi, che l’Einaudi dovette rivedere la sua politica commerciale e distributiva e non solo: fu costretta a “impreziosire” la veste di alcune delle sue collane di narrativa (Coralli e Supercoralli soprattutto) per giustificare un prezzo medio, a quel punto, decisamente alto. Le due collane vennero “riposizionate”: rilegate meglio, dotate di sovraccoperta, di carta più pregiata, impreziosite da fascette editoriali, eccetera, eccetera.
Dice a tal proposito Giulio Einaudi nella sua Intervista a Severino Cesari: «… quindi se pubblicavamo lo stesso titolo, dovevamo dare qualcosa in più per giustificare un prezzo più elevato. Una maggiore cura grafica…».
Ma tornando a Pavese e a questo (imposto) nuovo rapporto con Mondadori, una cosa salta immediatamente all’occhio e rattrista assai: l’aspetto formale dei libri. Vedere La bella estate, Il compagno, Feria d’agosto trattati graficamente nella collana Il bosco come romanzi strappalacrime per giovani fanciulle (Liala docet), dà una gran stretta al cuore.



Cambierà la musica agli inizi degli anni Sessanta quando Pavese verrà pubblicato da Mondadori in collane curate dalla neo-direttrice artistica Anita Klinz. Sia nelle collane Il bosco e Libri del pavone (da lei entrambe rivisitate) e ancor più nei famosissimi Oscar. In questi casi, pur sempre trattandosi di allestimenti commerciali, la linea grafica si dimostrò sicuramente di tutt’altro livello e decisamente più in sintonia con la poetica pavesiana.


Una domanda, però, s’impone: lo scrittore piemontese così “einaudiano” nel midollo e nell’anima, così parco e severo circa gli allestimenti grafici e tipografici dei libri, così estraneo ai maneggi commerciali, potendo dire la sua, avrebbe gradito questo cambio di casacca?
Io direi proprio di no.

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