Si è svolto il 30 settembre e il 1º ottobre, alla Maison de la Recherche dell’Università Sorbonne Nouvelle di Parigi, il convegno internazionale “Cesare Pavese. L’écriture, la langue, le style”, organizzato dal professor Christian Del Vento e della dottoressa Daniela Vitagliano (già ospite di questa rubrica). Scopo del convegno fare il punto sulla poetica di Pavese, sulla sua figura di scrittore e su ciò che rappresenta per la letteratura italiana del XX secolo. I partecipanti hanno approfondito la lingua e lo stile pavesiani, la sua scrittura e le sue riscritture, anche alla luce di nuovi studi, edizioni e traduzioni delle sue opere, pubblicati in Italia, Francia e Stati Uniti.
Marie Fabre ha presentato la sua recente traduzione francese dei Dialogues avec Leuco (Trente-trois morceaux): nemmeno lei è pavesista e aveva tradotto privatamente il libro a 20 anni (come Pivano con Spoon River). La sua è un’edizione non scientifica ma “protestante”, cioè solo con il testo, non per specialisti e con schemi e indici di Pavese. Il problema più grande è stata la polisemia di Pavese e i nomi greci diversi dalla pronuncia (Iacinto per Giacinto).
Infine, io ho mostrato le linee guida che sto seguendo nella cura della nuova traduzione in inglese del Mestiere di vivere che uscirà nella collana Lorenzo da Ponte della University of Toronto Press. Finora, i lettori anglofoni hanno potuto leggere solo l’edizione con i tagli effettuati da Massimo Mila, Italo Calvino e Natalia Ginzburg per la prima edizione italiana del 1952. Tra i problemi da risolvere: come tradurre la parola mestiere e quale veste grafica dare al testo per renderlo accessibile a tutti i lettori.
Il convegno è proseguito con
quattro sessioni: le due del
primo giorno si sono focalizzate su
specifiche opere pavesiane. Nella prima, “Lingua e stile nelle prime opere pavesiane”, i professori Valter Boggione (Università di Torino) e Michela Rusi (Università Ca’ Foscari Venezia) hanno scelto rispettivamente Paesi tuoi e La spiaggia. Il professor Boggione ha analizzato nomi dei personaggi e proverbi per mostrare il tentativo di Berto di sentirsi superiore al contadino Talino. Berto definisce i campagnoli con la loro funzione e non con il nome e tratta Talino come un bue mansueto: ma il finale mostra che è un toro rabbioso che rovescia il mito del minotauro. Secondo la professoressa Rusi, quel “romanzetto” che Pavese disprezza ma cura attentamente è uno dei tasselli con cui ricerca la maturità: il protagonista Doro, a differenza di Pavese, realizza che la maturità è accettazione della sua vita adulta di uomo sposato e per questo abbandona i simboli della sua immaturità (come le colline della sua infanzia).
Nell’altra sessione, “Le frontiere della scrittura, le frontiere nella scrittura”, la dottoressa Angela Francesca Gerace (Università della Calabria) ha mostrato il passaggio da logos a mito nell’ultimo Pavese attraverso l’analisi del lessico da lui impiegato. La dottoressa Vitagliano ha mostrato la rilevanza del ritmo come elemento fondamentale nella costruzione dei Dialoghi con Leucò: forma e contenuto si intrecciano, Pavese trasforma il paradigma mitico di Vico in narrazione usando uno stile fatto di metafore e ripetizioni che crea attesa nel lettore e dà coesione alla sua opera. Lo scrittore Andrea Tullio Canobbio si è focalizzato infine su Dodici giorni al mare, diario di una gita con gli scout del 1922, e sul poemetto Amore indiano (1923), pubblicati dall’editore Galata: tali testi mostrano le disordinate ma ricche letture del giovane Pavese, influenzato da Dante ma anche da Salgari, Melville e dal West. Spunti tematici
Le sessioni del
secondo giorno hanno invece avuto carattere più tematico. Nella prima,
“(Ancora) tra mito e logos: indagini lessicali e tematiche”,
Lorenzo Marchese (assegnista all’Università dell’Aquila) ha mostrato come la predilezione di Pavese per personaggi giovani o adolescenti rispecchi una concezione della maturità come squilibrio tra personaggi invecchiati artificialmente e rassegnati e bambini che agiscono perché incoscienti del mondo.
Massimiliano Cappello (dottorando all’Università degli Studi di Milano) ha invece trattato la differenza tra succedere e accadere in Pavese: questioni microstilistiche che però evidenziano – con il carattere attivo e passivo del verbo – differenti approcci al modo di raccontare e scrivere dai risvolti esistenziali (per Pavese, accadere è il verbo del destino).
Riccardo Gasperina Geroni (ricercatore all’Università di Bologna) ha invece trattato il problema della colpa in Pavese, finora ricondotto a motivazioni biografiche. Analizzando i sensi di colpa di alcuni dei personaggi pavesiani tramite Ricoeur, per cui la perdizione è staccata dalla colpa, sostiene che la colpa di Pavese sia tragica, ovvero ineluttabile, e corrisponda alla scoperta della propria umanità: non sconfitta o fallimento ma regressione nel mito per tornare all’innocenza dell’infanzia.
Infine, in
“(Re)visioni globali dell’opera pavesiana: riscrittura, riscritture” ho presentato alcuni dei progetti di twitteratura dedicati – tra 2012 e 2013 – a
La luna e i falò e ai
Dialoghi con Leucò: sia nel caso di
#LunaFalò che in quello di
#Leucò ho dimostrato come il digital social reading di questi progetti – fatto di riletture e riscritture – costituisca una manifestazione innovativa di ricezione del testo e sfrutti le caratteristiche principali delle Digital Humanities.
Il convegno è stata una bellissima occasione per riunirsi: hanno partecipato persone dal vivo e online e le discussioni sono state proficue e molto costruttive. Ancora una volta, soprattutto, hanno mostrato la rilevanza di uno scrittore e un intellettuale come Pavese, il cui pensiero e le cui opere continuano a essere fonte di riflessione e di studio.